sehepunkte 17 (2017), Nr. 10

Wilhelm Kroll: Discours sur les oracles chaldaïques

Quando il giovane Wilhelm Kroll presentava il suo Habilitationschrift De oraculis chaldaicis (Breslau 1894) che gli avrebbe procurato l'incarico di Privatdozent presso l'Università di Breslau (1894-1898), non poteva certo immaginare quale impatto avrebbe avuto nel mondo scientifico questo lavoro che, con le parole di Michel Tardieu, possiamo definire una "monographie, admirable de pertinence et de concision" che "sert de base, aujourd'hui encore, à toute recherche". [1] Preceduta da un'edizione degli oracoli contenuti nel Commento di Proclo utilizzato da Michele Psello, curata da Albert Jahn nel 1891 [2], l'opera di Kroll appare - come nota Henri Dominique Saffrey - "stupefacente" per l'ampiezza del materiale raccolto attraverso la lettura dei testi di autori neoplatonici che hanno fatto ampio uso dei Logia tôn Chaldaiôn giudicati da Proclo, insieme con il Timeo, l'unico testo degno di essere salvato da un eventuale collasso "di tutti i libri degli Antichi" (Marino, V. Procl. 38, 15-17 Saffrey / Segonds, 44).

Pur non essendo un'"edizione" dei frammenti, impresa che lo stesso Kroll ha giudicato impossibile per l'assenza al suo tempo di edizioni critiche delle fonti neoplatoniche, la raccolta dello studioso tedesco è servita da base testuale all'edizione critica di Édouard des Places [3], dopo aver costituito il referente principale dell'analisi di Hans Lewy. [4] Per il tramite di questi lavori "fondativi", essa si pone alla fonte della ricca corrente di ricerche che negli ultimi decenni si sono rivolte a questo "testo sacro" dell'antichità tardiva per esplorarne tutte le dimensioni, dottrinali e rituali, al fine di illuminare la storia culturale e religiosa di un'epoca di grande vitalità intellettuale, segnata da profondi mutamenti e da vere e proprie "rivoluzioni". La recente monografia di Helmut Seng [5] e la serie di incontri scientifici da lui organizzati con la collaborazione di molti studiosi [6] confermano la vivacità dell'interesse che gli Oracoli caldaici continuano a suscitare, anche in relazione al tema, egualmente attuale e dibattuto, della loro dimensione teurgica [7], del loro ruolo nella tradizione platonica tardiva e delle relazioni con il fenomeno dello gnosticismo. [8]

Se l'opera di Kroll sta alle sorgenti di questo denso flusso di indagini, bisogna pure riconoscere che, al di là dei giudizi positivi che le sono stati riservati dalla maggior parte degli interpreti, non appaiono sufficientemente apprezzati e valorizzati i risultati a cui lo studioso è pervenuto attraverso la raccolta e l'analisi dei disiecta membra del corpus oracolare caldeo. In altri termini, l'assunzione e la sistemazione in un ordinato schema di "frammenti", ora filologicamente definiti sulla base delle edizioni critiche, dei "materiali" raccolti dallo studioso tedesco da parte di Édouard des Places, mentre da una parte ha confermato la correttezza delle scelte di Kroll nella raccolta documentaria, a cui solo pochi nuovi sicuri "frammenti" si possono ora aggiungere [9], questa situazione, accettata ormai come un dato di fatto, ha fatto obliterare quasi completamente tutta la dimensione interpretativa della sua ricerca.

Tanto più importante sotto il profilo storico e scientifico è dunque l'opera che modestamente si presenta come una "traduzione" dello scritto di Kroll. Solo la straordinaria conoscenza del tema, l'intelligenza dei problemi esegetici ad esso legati e l'umiltà di uno studioso della levatura di Saffrey potevano di fatto permettere un'operazione scientifica come quella di proporre oggi, in un linguaggio fluido e puntuale, un testo di fine ottocento, redatto in un limpido latino che ormai, purtroppo, è estraneo non solo al pubblico di media cultura ma anche a tanti ricercatori. Se questa situazione è indicata dall'autore come una delle ragioni del suo lavoro, di fatto il suo intervento sul testo che ora egli offre alla comunità scientifica in vista di un ripensamento sull'opera geniale di un "pioniere" degli studi caldaici, penetra in profondità con interventi decisivi e chiarificatori e permette una lettura di esso in prospettiva attuale. Come infatti precisa nell'utile "Avertissement", Saffrey ha nettamente percepito la peculiare qualità dell'opera: "[...] il s'agit non pas seulement d'une énumération de fragments, mais surtout d'un discours raisonné [...]". Pertanto ha operato la felice scelta di distinguere, anche tipograficamente, questo discorso dai frammenti, ora offerti nelle edizioni critiche e secondo la numerazione ormai "canonica" di des Places, eliminando l'apparato di osservazioni filologiche che Kroll aveva ritenuto opportuno aggiungere in base ai manoscritti consultati. Come egli sottolinea, lo studioso tedesco ha organizzato il suo materiale e la relativa esegesi in funzione tematica, seguendo lo schema già adottato dal primo editore degli Oracoli, Francesco Patrizi (teologia, cosmologia, anima, culto, escatologia). Sebbene questa scelta sia stata talora criticata e di fatto rimanga del tutto congetturale, data la situazione estramente frammentaria in cui il testo ci è pervenuto, sorta di "campo di rovine" secondo la definizione dello stesso Saffrey (VII), essa allo stato attuale appare la più probabile o comunque quella che meglio permette di cogliere il senso della misteriosa parola divina che, con rapidi enunciati, illumina l'uomo sui fondamenti della realtà. [10] Si nota anche come Kroll abbia avuto netta la percezione del valore preminentemente religioso di quella parola, sebbene solo alla fine del suo Discorso abbia indicato nel "culto del Fuoco" il focus della rivelazione caldaica, ponendo così in primo piano il referente pratico-rituale di essa che, nell'appellativo del suo "mediatore", Giuliano il Teurgo, esprime icasticamente questa dimensione. Egli sottolinea pure, con acuto senso critico, uno degli aspetti preminenti dell'analisi del Kroll, ossia l'aver definito quella rivelazione come una sorta di "gnosi pagana". [11] Nonostante tutti i problemi ermeneutici connessi a questa definizione, si deve riconoscere che l'esegeta di Breslau ha percepito netta la densità del magma teologico e rituale soggiacente ai logia e, con alcuni rapidi ma pertinenti esempi, ha chiamato a confronto alcuni contesti gnostici, valentiniani in particolare [12], testi ermetici, oltre fonti giudaiche come Filone Alessandrino e soprattutto quei ricchi contenitori di immagini e tradizioni mitiche e prassi rituali che sono i Papiri Greci Magici. Senza entrare nel merito della pertinenza delle singole comparazioni né di quella definizione, si constata che Kroll ha senza dubbio offerto importanti suggestioni e stimoli alla ricerca, che oggi appaiono ancora attuali e fecondi a fronte di un patrimonio documentario e di un progresso di indagini, sul campo dello gnosticismo e della pratica magica, al suo tempo inimmaginabile. Tanto più preziosa e meritoria, pertanto, appare l'opera paziente di revisione ed edizione di Saffrey, che restituisce voce ad un lavoro che non appare più "a sacrosant fossil" [13] bensì - pur con tutte le inevitabili limitazioni della sua datazione - una stimolante proposta interpretativa che appella ad un costruttivo confronto.


Note:

[1] Michel Tardieu: "Les oracles chaldaïques 1891-2011", 733, in: Hans Lewy: Chaldean Oracles and Theurgy. Mysticism Magic and Platonism in the Later Roman Empire, Le Caire 1956, Jerusalem 1960. Nouvelle édition par M. Tardieu: Études augustiniennes, Paris 1978. Troisième édition par Michel Tardieu avec un supplément "Les oracles chaldaïques 1891-2011", Paris 2011. Una "biografia" scientifica di Kroll: ibid., 732-737.

[2] Eclogae e Proclo de philosophia chaldaica: sive de doctrina oraculorum chaldaicorum. Nunc primum edidit et commentatus est Albertus Jahnius; Accedit Hymnus in deum platonicus, vulgo S. Gregorio Nazianzeno adscriptus, nunc Proclo Platonico vindicatus. Proklou ek tēs chaldaikēs philosophias Προκλου εκ της χαλδαικης φιλοσοφιας, Halis Saxonum 1891. E' merito di Michel Tardieu aver fatto memoria di questo lavoro, a cui si deve la ripresa dell'uso antico, che si rivelerà definitivo e sanzionato proprio dal lavoro di Kroll, dell'attributo di "caldaici" per gli Oracoli ("Les oracles", 732-733).

[3] Édouard des Places: Oracles chaldaiques avec un choix de commentaires anciens, Paris 1971; 19892. Si ricorda anche l'edizione di Ruth Majercik: The Chaldaean Oracles. The Text, Translation and Commentary (= Studies in Greek and Roman Religion; 5), Leiden / New York / Københaven / Köln 1989, che riprende il testo critico di des Places.

[4] Cf. n. 1.

[5] Helmut Seng: Un livre sacré de l'antiquité tardive: Les oracles chaldaïques (= Bibliothèque de l'École Pratique des Hautes Études; 170), Turnhout 2016.

[6] Helmut Seng / Michel Tardieu (Hgg.): Die Chaldaeischen Orakel: Kontext, Interpretation, Rezeption (= Bibliotheca chaldaica; 2), Heidelberg 2010; Adrien Lecerf / Lucia Saudelli / Helmut Seng (éds.): Oracles Chaldaïques: fragments et philosophie (= Bibliotheca chaldaica; 4), Heidelberg 2014; Helmut Seng / Giulia Sfameni Gasparro (Hgg.): Theologische Orakel in der Spätantike (= Bibliotheca chaldaica; 5), Heidelberg 2016; Helmut Seng / Luciana Gabriela Soares Santoprete / Chiara O. Tommasi (Hgg.): Formen und Nebenformen des Platonismus in der Spätantike (= Bibliotheca chaldaica; 6), Heidelberg 2016.

[7] Tra una letteratura assai ampia, ricordo soltanto Carine Van Liefferinge: La Théurgie. Dès Oracles Chaldaïques à Proclus, Liège 1999 e Ilinca Tanaseanu-Döbler: Theurgy in Late Antiquity. The Invention of a Ritual Tradition, Göttingen 2013.

[8] La dimensione della storia della ricerca sui temi brevemente evocati è percepibile dalla rassegna puntuale di Michel Tardieu, in Appendice alla terza edizione del volume di Lewy (sopra n. 1, 731-766).

[9] Si tratta di 8 frammenti citati da Saffrey alla fine dell'Introduzione, X-XII. Come è noto, i numerosi testi ritenuti dal Lewy nuovi "frammenti" caldaici sono per la maggior parte da espungere, salvo qualche caso proponibile come "dubbio".

[10] Un ordine analogo nella sequenza dei frammenti e nell'interpretazione dell'orizzonte caldaico è stato scelto anche nella recente monografia di Helmut Seng (n. 5).

[11] Wilhelm Kroll ribadisce questa interpretazione nel saggio di sintesi (RhM N.S. 50, 1895), riproposto come Annexe alla fine del volume.

[12] In tal senso si veda Michel Tardieu: La gnose valentinienne et les Oracles chaldaïques, in: Bentley Layton (ed.): The Rediscovery of Gnosticism. Proceedings of the International Conference on Gnosticism at Yale New Haven, Connecticut, March 28-31, 1978, vol. I, The School of Valentinus, Leiden 1980, 194-237.

[13] Tale immagine è usata da Polymnia Athanassiadi (The Chaldean Oracles: Theology and Theurgy, in: Polymnia Athanassiadi / Michael Frede (eds.): Pagan Monotheism in Late Antiquity, Oxford 1999, 158) per definire l'ordine tematico dei frammenti proposto, e in qualche misura "imposto", alla ricerca successiva dall'opera di Kroll.

Rezension über:

Wilhelm Kroll: Discours sur les oracles chaldaïques. Traduction par Henri Dominique Saffrey (= Textes et traditions; Vol. 28), Paris: Librairie Philosophique J. Vrin 2016, XIV + 123 S., ISBN 978-2-7116-2746-2, EUR 23,00

Rezension von:
Giulia Sfameni Gasparro
Università degli Studi di Messina
Empfohlene Zitierweise:
Giulia Sfameni Gasparro: Rezension von: Wilhelm Kroll: Discours sur les oracles chaldaïques. Traduction par Henri Dominique Saffrey, Paris: Librairie Philosophique J. Vrin 2016, in: sehepunkte 17 (2017), Nr. 10 [15.10.2017], URL: https://www.sehepunkte.de/2017/10/29882.html


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