Questo libro si prefigge di indagare i luoghi e i modi in cui, relativamente al periodo tra l'inizio del V e la fine del IV sec. a.C., gli Ateniesi impararono a esercitare quel tipo di democrazia che, nonostante i limiti, rese la loro città un modello ideale per le società occidentali. Niall Livingstone parte da una serie di domande: esistevano figure, ideali o reali, che fornirono gli insegnamenti necessari? A chi esattamente erano rivolti questi insegnamenti? Dove e quando avevano luogo?
Il saggio (124) è diviso in tre capitoli, ognuno suddiviso in paragrafi. Nel capitolo 1, "Setting the Stage for Citizens", l'Autore, partendo dal presupposto che le società democratiche dipendono dal supporto e dal coinvolgimento dei cittadini, considera l'Atene di V-IV sec. a.C. "scuola dei cittadini Ateniesi", che nella loro stessa città impararono, senza riferirsi a modelli preesistenti, a esercitare la democrazia (a questo proposito egli giustamente enfatizza le differenze con le società arcaiche descritte dall'epica omerica e da Esiodo, organizzate a prescindere dal concetto di collettività e gestite da gerarchie consolidate o da re autoreferenziali). Nel processo verso la democrazia Solone ebbe un ruolo decisivo (21-26), in quanto per primo introdusse i concetti fondamentali del "male pubblico" (demosion) e di "insegnare agli Ateniesi" gli esiti per il popolo di un cattivo governo (dysnomia) o di un buon governo (eunomia).
Nel capitolo 2, "Citizen Spaces", l'Autore si concentra sulle domande iniziali: come e dove gli Ateniesi impararono a essere cittadini? Livingstone puntualizza l'importanza dell' "education" (l'arte di imparare a fare una cosa) e precisa come l'apprendimento dell'arte politike platonicamente intesa (l'arte di essere cittadino e di governare una città) non si conclude sempre col successo, in quanto gli uomini non sono provvisti egualmente delle virtù morali. La conseguenza viene desunta nuovamente da Platone: non tutti sono in grado di governare, solo i migliori, vale a dire coloro in grado di capire il Bene, che è cosa diversa dal semplice saper fare (techne). Il filosofo si qualifica dunque come personaggio chiave per il "citizen learning in Athens": "the philosopher concede an important point about citizen learning in Athens" (44).
Il "citizen learning in Athens" avviene in tutti quei luoghi dove i cittadini potevano esprimere il loro essere cittadini. Livingstone pone l'accento, giustamente, sull'agora (46-53), dove, prima ancora del sorgere delle istituzioni democratiche, presero vita importanti manifestazioni dell'essere cittadino: l'associazionismo pubblico, l'opposizione al governo in carica e il libero scambio (di merci, di notizie, di idee). Per Livingstone non solo l' agora, pullulante di gente di ogni sorta (compresi fannulloni parassiti, filosofi e gli altri personaggi della commedia classica), è il cuore della città democratica ma anche le botteghe intorno a essa, come quella del barbiere o quella del calzolaio Simone (56-60), dove gli uomini si incontrano e esprimono liberamente la propria opinione politica, quindi esercitano pienamente e nel modo più autentico il loro essere cittadini, non perché discutono della forma di governo in carica, ma perché discutono di quella forma cui ambiscono: "the true soul of the city is not the political system currently in force but the political system to which the citizens aspire" (59). Queste botteghe vengono presentate come i luoghi in cui affiora il vero sentimento politico della cittadinanza, dove le idee si condividono e si diffondono e nuove opportunità prendono forma, spazi pubblici entro cui la conoscenza viene divulgata, organizzata e scambiata spontaneamente tra i cittadini ateniesi.
Nel capitolo 3, "The citizen performer", sono posti di fronte due tipi di discorso politico: quello spontaneo, che si svolge nell'assemblea hic et nunc, improvvisato su invito dell'araldo a dare un contributo alla riunione, e quello scritto, precostituito a tavolino, artefatto nello stile e lontano dai bisogni del popolo perché concepito lontano dai luoghi della politica. Livingstone è decisamente a favore del primo tipo e ne spiega i benefici attraverso l'orazione di IV sec. a.C., Sugli Autori di Discorsi Scritti o Sui Sofisti, scritta da Alcidamante di Elea. L'orazione, pervenuta per intero, è un manifesto del discorso improvvisato, di cui già Alcidamante aveva messo in evidenza il "popular appeal" e la capacità di coinvolgere il pubblico ("political engagement"). Livingstone fornisce la sua traduzione (73-77) e il commento (77-83) dell'orazione. Dal momento che la traduzione è estremamente chiara, il commento così puntuale appare in alcuni punti una ripetizione superflua di contenuti già espressi. Nell'opposizione tra le due figure dell'extempore speaker e del writer, Livingstone spiega come il primo sia espressione del kairos (il "momento opportuno"), il quanto egli coglie e risponde alla situazione che si presenta hic et nunc; il secondo, invece, per lo stile costruito e la precisione delle parole, del chronos (la "durata dell'azione"), il tempo che passa tra la composizione del discorso e il momento in cui verrà pronunciato; il primo esercita un servizio alla collettività, mentre il secondo, nel suo isolamento, esercita un piacere individuale ed elabora un testo che presenterà agli ascoltatori nel ruolo di unico e dominante performer: egli non deve adattare il suo tempo alle esigenze della comunità, ma, in maniera autocratica "the writer-despot" (80) obbliga la comunità ad adattarsi ai suoi tempi. In quest'ottica l'uso della scrittura in politica viene presentato da Niall Livingstone, in modo forse troppo apodittico, come inevitabile preludio alla tirannia. Dopo l'analisi delle posizioni assunte in passato dagli studiosi su questa orazione (Muir 2001; Eucken 1983; O'Sullivan 1992) e l'analisi dei diversi tipi di discorso che era possibile ascoltare nell'Atene di IV sec. a.C. (85-86), Livingstone sostiene che il discorso improvvisato sia parte del programma educativo del governo democratico, innanzitutto perché l'improvvisatore è il "perfect democratic rhetorician" (88), un esperto di politica che si è formato in seno alla sua stessa comunità, da cui deriva supporto, per il fatto di condividere con i suoi concittadini i momenti salienti della vita civica (l'assemblea e il tribunale), e autorità in quanto risponde alle istanze pubbliche in tempo reale; in secondo luogo perché l'improvvisatore garantisce il "public engagement", poiché si esibisce, adattando di volta in volta il suo discorso alle circostanze e alle esigenze del suo uditorio, in tutti quei luoghi di pubblico accesso, come le taverne, le botteghe o l'agora, dove le persone interagiscono e scambiano la loro esperienza politica, personale e collettiva senza filtri, di tempo o di retorica.
Questa digressione sul discorso improvvisato chiude, come un cerchio, la tesi iniziale dell'Autore circa il citizen learning ad Atene e aiuta a comprendere il titolo dato al libro: secondo Livingstone imparare a essere cittadini nell'Atene democratica di V e IV sec. a.C. non era un'attività istituzionalizzata, come lo furono le scuole filosofiche e di retorica, ma un'opportunità concessa a chiunque avesse modo di accedere ai luoghi in cui si esplicava la vita sociale; la democrazia ateniese era di per sé educativa in quanto i cittadini stessi, essendo costantemente invitati a esprimersi (improvvisando in base alla circostanza del discorso), garantivano al pubblico la possibilità costante di imparare ascoltando.
In questo modo Niall Livingstone risponde agli interrogativi iniziali e ribadisce i tre concetti fondamentali (già espressi da Ober 2008) per una democrazia di successo: la condivisione della conoscenza tra un numero il più possibile ampio di cittadini, la diffusione di una cultura della cittadinanza, la partecipazione alla vita civica. A questo proposito è convincente l'analisi dell'età soloniana ( 20-26), attraverso cui l'Autore pone in evidenza l'importanza di uno spazio neutro, "the middle ground" (38-39), per l'azione politica e la necessità per i cittadini di conoscere i meccanismi della forma di governo in atto per partecipare alla vita democratica; ma l'analisi dei modi della "dissemination of the power" (36) è tecnicamente più approfondita per l'età di Solone che per il periodo oggetto del libro: il V e il IV sec. a.C.
La tesi di fondo del libro è, nel complesso, condivisibile: imparare a vivere democraticamente nell'Atene di questo periodo era un'attività creativa, interattiva e spontanea, che si svolgeva in tutti quei luoghi di socializzazione dove la gente si esprimeva, dall'agora ai tribunali, ai teatri: "each space of the city is a performance space" (101). Da ciò Livingstone esclude, a mio giudizio in maniera troppo categorica, ogni forma di comunicazione istituzionalizzata e pur insistendo sul ruolo del filosofo per il citizen learning ad Atene (nel capitolo 2), questo ruolo viene poi trascurato, dal momento che nelle pagine seguenti non si parla né dei filosofi né dei luoghi pubblici da questi frequentati, in cui le conversazioni avvenivano spesso in maniera informale (per esempio nei ginnasi). Ciononostante il lavoro di Livingstone si rivela utile, perché pone l'attenzione su due aspetti, i luoghi "neutri" della politica e le forme non istituzionali di comunicazione, che rappresentano temi salienti per ricostruire il profilo autentico delle società antiche.
Niall Livingstone: Athens. A University City (= Routledge Monographs in Classical Studies), London / New York: Routledge 2017, X + 124 S., ISBN 978-0-415-21296-0, GBP 85,00
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