In questo volume si propone una eccellente raccolta di scritti di Girolamo Arnaldi sui cronisti medievali tra il XII e il XV secolo. L'ambito geografico su cui lo storico ha esercitato il proprio acume critico è quello dell'Italia Comunale, di Genova e, in particolare, di Venezia e del Veneto. Ma più in generale, come mette opportunamente in evidenza la curatrice e la prefatrice del volume, Lidia Capo, il valore di questi studi, così come uno degli aspetti principali del contributo apportato da Arnaldi agli studi sul Medioevo, non è tanto nelle singole analisi per quanto siano sempre estremamente acute e approfondite, ma risiede soprattutto nelle tematiche generali affrontate, le quali hanno profondamente inciso sul modo di affrontare la storia e le documentazioni su cui si impernia la ricostruzione della vicenda storica. In particolare, il fatto di essersi dedicato ad autori poco noti, ma accomunati dall'ambito geografico o dall'oggetto degli studi, ha permesso allo studiosoi di cogliere nessi importantissimi, ma che non si sarebbero colti altrimenti.
Per ottenere questo, Arnaldi si è concentrato soprattutto sul contesto di ogni opera, allontanando i rischi di eccessivo soggettivismo che ogni lettura isolata porta con sé. Poiché gli studi, tranne qualche eccezione, sono incentrati sul pieno e Basso Medioevo, l'ambiente in cui ogni opera era stata concepita, composta, considerata opportuna, apprezzata e divulgata, era più facilmente conoscibile per l'abbondanza delle fonti contestuali, permettendo di dare conto delle interazioni e dei fenomeni culturali che avevano una relazione dialettica con l'autore e con il suo lavoro. In questo modo Arnaldi ha conciliato i due approcci metodologici che tempo fa, quasi sempre escludendosi l'un l'altro, andavano per la maggiore: da una parte le letture dirette e personali del testo, quasi vere e proprie lectiones, che si collegavano alla sensibilità e alla cultura personale del lettore/commentatore; dall'altra lo studio asetticamente filologico del testo, imperniato sulla ricostruzione delle dinamiche della tradizione manoscritta e sull'esatto quadro delle fonti, con il disegno preciso delle loro discendenze e ascendenze. Questi due approcci metodologici, pur essendo opposti nella loro complementarietà, condividevano tuttavia la sottovalutazione del ruolo dell'autore medievale, poiché in ogni caso quelle che sembravano importare erano 'solo' le notizie riportate e il copista serviva 'solo' per valutarne l'attendibilità, presupponendo di conseguenza una sorta di tara sulle sue parole, per recuperare un'oggettività storica che vi era nascosta. Ma in questo modo, il testo non veniva considerato nel suo insieme e soprattutto non veniva considerata la figura dell'autore che, componendo una cronaca, agiva consapevolmente, confrontandosi con il contesto, con i suoi interlocutori, con quello che si attendeva da lui e, finalmente, con il dato storico di cui intendeva fissare la memoria. Per Arnaldi il dato storico riportato nell'opera è invece un'occasione per cogliere il legame che l'autore medievale ha con il proprio ambiente, analizzando come si rivela la proposizione del suo scritto nei confronti del suo pubblico, dei suoi committenti (o di se stesso, poiché può esserci anche il caso di 'autocommittenza') e delle aspettative dell'uno e degli altri. È infatti proprio il legame ambientale a indurre l'autore a fare scelte fondamentali nel suo scrivere di storia e quindi esiste una categoria interpretativa che permette ai moderni di meglio comprendere e utilizzare le fonti narrative.
In questa prospettiva, gli studi qui raccolti e che danno al volume un grande valore metodologico per l'approccio alle fonti narrative medievali, si sviluppano attorno due direttrici: innanzitutto la definizione dei rapporti che legano l'autore e il suo ambiente; in secondo luogo come lo stesso autore medievale abbia originalmente interpretato questi rapporti, come abbia dato loro vita nelle sue pagine, e quindi, in ultima analisi, come abbia testimoniato e spiegato il proprio interesse per la storia che andava ricostruendo. Questo ha fatto sì che Arnaldi, più di ogni altro in Italia, abbia mostrato come si debbano utilizzare le fonti narrative, nonostante la diffidenza che molti storici avevano nei confronti di queste per la loro natura di 'prodotti letterari' e dunque per il loro rispondere a canoni che erano per così dire altri, rispetto a quelli che si presupponevano in una ricerca storica. Arnaldi infatti ha opportunamente considerato che ogni fonte narrativa presuppone una testimonianza volontaria di un fatto storico e che quindi questa testimonianza è particolarmente significativa, poiché dà conto della sensibilità e del criterio che il cronista mostra nella selezione e nella presentazione dei dati, delle forme che egli ritiene funzionali e di quale contesto egli si senta espressione. Si presuppone infatti che l'autore medievale abbia una propria concezione del fatto storico che vuole riferire e che abbia dei parametri culturali in cui rappresentarlo; e che questa rappresentazione sia mossa da motivazioni di ordine sociale, che discendono dal contesto in cui il cronista vive in reciprocità, condividendo aspettative e interessi culturali.
L'organizzazione del volume è funzionale all'esposizione dell'importanza dell'approccio metodologico di Arnaldi. Sono infatti raccolti nella prima parte, opportunamente chiamata 'Tematiche generali' i testi che più di altri hanno segnato la novità del suo approccio (in particolare, Cronache con documenti, cronache autentiche e pubblica storiografia del 1976 e Annali, Cronache, Storie del 1992). Le altre tre parti, in cui gli studi sono ripartiti per aree geografiche (Genova, Veneto e Firenze), mostrano egregiamente la novità e l'efficacia dell'approccio metodologico di uno dei più importanti medievisti italiani.
Girolamo Arnaldi: Cronache e cronisti dell'Italia comunale. A cura di Lidia Capo (= Collectanea; 33), Spoleto: Fondazione Centro Italiano di Studi sull'alto Medioevo 2016, XLVI + 633 S., ISBN 978-88-6809-124-8, EUR 70,00
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