La pubblicazione degli statuti di Padova di età carrarese - come tra l'altro ben sottolinea Gherardo Ortalli nel saggio introduttivo Un'edizione, una storia lunga, un debito pagato (13-17) - si aspettava da tempo: pur essendo un documento di straordinario rilievo e ben noto da quanti hanno posto il centro delle loro ricerche sulle vicende trecentesche della città euganea, era sinora sfuggito ad una seria e criticamente avvertita edizione integrale.
Ermanno Orlando in Signoria cittadina e statuti (19-32) tratteggia una breve ma nitida panoramica sulle vicende storiche della signoria padovana dei da Carrara, formalmente iniziata nel luglio 1318 quando Giacomo I fu nominato dagli organismi comunali protector et gubernator ac capitaneus et dominus generalis Padue et districtus, consolidatasi tra il 1337 e il 1339 dopo la conclusione della potestà politica scaligera e terminata tragicamente nel corso del 1405 con la conquista veneziana. L'autore, quindi, inquadra nel contesto politico ed istituzionale dell'epoca la produzione normativa edita in questo volume, voluta da Francesco I detto il Vecchio nel 1362 per riformare gli statuti comunali al suo tempo ancora vigenti. Si insiste, a riguardo, nell'ambito del maturo e ormai stabile regime signorile, in particolare su due aspetti: da un lato la redazione degli statuti si configurò «come il riconoscimento pieno della sovranità del nuovo dominus, ma anche come fonte imprescindibile di condivisione del potere e di costruzione del consenso» ma dall'altro essa non spazzò via del tutto le strutture del governo comunale mantenendole, almeno dal punto di vista formale, ancora vive e operative. La legislazione carrarese, insomma, fu «un prodigio di equilibrismo», un sapiente bilanciamento tra matrice comunale e regime signorile. Si capisce, dunque, perché, poco dopo il definitivo abbandono di Padova da parte di Francesco II detto il Novello, i nuovi reggenti provenienti da Venezia decisero di cancellare dagli statuti redatti nel 1362 buona parte delle tracce lasciate dai governanti carraresi per rimarcare «anche simbolicamente, una discontinuità forte con quel passato tanto ingombrante e con quella partecipazione così piena e consapevole della comunitas patavina ai progetti di dominio personale» della stirpe dei da Carrara.
Silvia Gasparini in Statuti e giurisdizioni a Padova dalla cacciata di Ezzelino alla conquista veneziana (33-43) chiarisce in quale cornice storico-giuridica, immediatamente dopo la costituzione imperiale emanata a Costanza da Federico I il 25 giugno 1183, furono pensati e rogati gli statuti delle nascenti realtà comunali italiane nell'area centro-nord della penisola, «primo riferimento normativo utile a dare forma giuridica alla fisiologia e alla patologia della vita associativa per i cittadini, mercanti e artigiani, notai, magistrati, giudici, segretari e cancellieri». Gasparini si sofferma sia su come fu ordinato nonché stratificato l'ordinamento giuridico padovano (a nostro personale giudizio forse sin troppo rapidamente, ad esempio almeno un fugace cenno avrebbero sull'argomento meritato gli statuti risalenti al 1276 editi da Andrea Gloria) sia sulla definizione, sotto il profilo iconografico e spaziale, del superbo spaciosum palacium (il Palazzo della Ragione cittadino) sede pubblica di amministrazione della giustizia e luogo per eccellenza in cui durante la plurisecolare stagione comunale furono applicate le norme contenute negli statuti.
Mariella Magliani in I tre codici degli statuti padovani conservati nella Biblioteca Civica di Padova (45-56) traccia con efficacia la storia 'conservativa' - tra fine XVIII secolo e i giorni nostri - dei tre codici, custoditi appunto nella locale Biblioteca Civica, provenienti dall'Archivio Civico padovano: il testimone (più autorevole) degli statuti di epoca signorile (il manoscritto BP.1237), quello segnato BP.1235 - unico esemplare noto della redazione statutaria di epoca comunale risalente al 1276 con aggiunte sino al 1285 (edito da Andrea Gloria nel 1873) - ed infine il codice BP.1236, ossia la copia più antica degli statuti riformati nel 1420 imperante il dominio veneziano. Nel lasso di tempo in questione essi migrarono dall'archivio della Cancelleria Comunale (il Tabulario Magnificae Comunitatis Paduae) agli edifici dell'ex convento di Sant'Antonio adattati all'uopo da Camillo Boito e Eugenio Maestri sino alla sede attuale (dal 2008) della Biblioteca Civica di Padova ubicata presso il Centro culturale Altinate/San Gaetano, in via Altinate 71.
Magliani inoltre sulla base di informazioni attendibili ipotizza dove essi avrebbero potuto essere stati materialmente preservati tra XIV e XVII secolo. Le analisi codicologiche dei manoscritti porterebbero a supporre che «i nostri codici [...] siano gli esemplari allestiti per l'uso ufficiale e la consultazione continuativa, riservati alla cancelleria comunale, oppure quelli destinati ai tribunali del Salone ed affidati ai notai statutorum, poi approdati all'archivio civico, dove rimasero conservati». Non mancano ulteriori annotazioni sui lavori di restauro cui i tre esemplari furono sottoposti nei primi anni Ottanta del Novecento.
Infine, Ornella Pittarello nel saggio 'tecnico' Il codice statutario (57-72) espone la natura della legatura, delle misure, della consistenza, della numerazione, delle segnature, della mise en page nonché le caratteristiche della compilazione del codice membranaceo carrarese su cui si fonda questo lavoro di edizione. A seguire tre paragrafi - Nota al testo, Criteri di edizione e Tavola sinottica del contenuto dei manoscritti "P" e "V" (73-88) - precedono l'impeccabile trascrizione degli statuti, ripartiti in diversi libri di differente consistenza.
Gli Statuta communis Padue sono, infatti, essenzialmente suddivisi nel modo seguente: I. libro dedicato agli offici comunali; II. libro, norme generali di procedura civile; III. e IV. libro sostanzialmente miscellanei, comprendenti norme e rubriche di varia natura. Tra queste spiccano elementi di procedura penale, regolamentazione del mondo del lavoro, intereventi inerenti ai diritti di cittadinanza, norme di polizia urbana, imposizioni di natura fiscale e militare, ingiunzioni rivolte a lavori pubblici straordinari o di regolare manutenzione di strade, ponti, argini dislocati in tutto il territorio padovano, ordinamenti contro gli eretici. Il V. libro contiene provvedimenti pertinenti in massima parte ai notai.
L'opera termina con le Additiones, raccolte aggiunte in vari momenti dopo la promulgazione del codice statutario inserite alla fine del libro V da mani diverse soprattutto negli anni 1366-1377; cinque Lettere ducali poste in testa agli Statuti nel 1415; il Soggettario degli Statuti di Padova di Pietro Saviolo del 1660 e un Appendice in cui si ripubblicano due statuti extravagantes (in origine forse parte integrante del fascicolo iniziale del codice oggi acefalo) - già editi nel secolo scorso da Vittorio Lazzarini e Paolo Sambin - relativi al conferimento della signoria di Padova a Francesco I e al figlio Francesco II da Carrara.
Prezioso (e sempre necessario) per orientarsi al meglio in un panorama multiforme, ricco di dati e informazioni è, infine, il consueto Indice dei nomi di persona, di luogo e delle cose notevoli.
È questa, per concludere, un'opera completa, condotta con acribia, che, credo, resterà una pietra miliare non solo per tutti gli studi (sociali, politici, economici, istituzionali) dedicati in futuro alla città di Antenore e al territorio di sua diretta pertinenza in età comunale e carrarese ma anche per quanti vorranno proseguire le ricerche in materia statutaria, da molti decenni ormai, al centro dell'attenzione di larga parte della storiografia non esclusivamente italiana.
Ornella Pittarello (a cura di): Statuti di Padova di età carrarese (= Corpus statutario delle Venezie; 22), Roma: Viella 2017, 904 S., 16 Farbabb., ISBN 978-88-6728-854-0, EUR 180,00
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