William Mack: Proxeny and Polis. Institutional Networks in the Ancient Greek World (= Oxford Studies in Ancient Documents), Oxford: Oxford University Press 2015, XX + 410 S., ISBN 978-0-19-871386-9, GBP 90,00
Inhaltsverzeichnis dieses Buches
Buch im KVK suchen
Bitte geben Sie beim Zitieren dieser Rezension die exakte URL und das Datum Ihres Besuchs dieser Online-Adresse an.
Il lavoro, nato dalla versione ampliata di una tesi dottorale, è guidato da due idee di fondo. Innanzitutto la prossenia come "a case study" costituisce una via privilegiata per studiare il sistema culturale della polis greca e il complesso delle relazioni interpoleiche (3). In secondo luogo il variare dell'uso della prossenia e il ridursi del fenomeno denota, con la fine dell'età ellenistica, i cambiamenti che l'incontro con Roma avrebbe generato all'interno del mondo delle città greche. L'autore pertanto può affermare che "Proxeny emerges as a fundamental means by which the Greek city states constructed and understood their links with each other" (2).
Il tema della prossenia è oggetto di dibattito già a partire dal XIX secolo e ha attratto ripetutamente l'attenzione degli studiosi nei decenni successivi. L'autore, nelle pagine introduttive (1-21), delinea sobriamente lo status quaestionis con un essenziale capitolo dedicato al preesistente dibattito critico. L'oggetto della disputa verte frequentemente sulla natura funzionale o semplicemente onorifica della prossenia: la dimensione solo onorifica avrebbe coinciso, secondo un'esegesi un tempo prevalente, con il declino della polis come istituzione politica già alla fine dell'età classica. Al riguardo non sono ignorabili i lavori di Gschnitzer (1973), con la teoria delle due componenti della prossenia, funzionale e onorifica; di Gauthier (1985), che rivaluta efficacemente la caratteristica funzionale dell'istituzione, insistendo sulla sua capacità di adattamento alle condizioni politiche della contemporaneità (indicazioni non sempre adeguatamente approfondite dagli studiosi successivi); di Marek (1984), che traccia i profili professionali dei prosseni noti, intendendo superare la contrapposizione ormai radicalizzatasi nel dibattito critico.
Fin da subito emerge quanto la vecchia diatriba sulla natura funzionale oppure semplicemente onorifica della prossenia non possa essere tuttora ignorata. Anche William Mack intende approntare, infatti, una propria risposta al quesito costruendo, secondo le proprie intenzioni, un modello interpretativo nuovo: la prossenia avrebbe continuato a detenere una propria capacità funzionale, senza interruzione attraverso l'età classica e tutta l'età ellenistica. Tale utilità consisterebbe nei servizi di intermediazione assicurati dai prosseni alle poleis, in un orizzonte politico costruito sul "polis system". Nel far ciò egli utilizza concetti propri di nuove correnti storiografiche di studi politici e sociali a carattere fortemente teorico (New Institutionalism, Social Networks Analysis, International Relations Studies).
Il primo capitolo (22-89) intende individuare la fisionomia di un prosseno, "the proxenos-paradigm", ed evidenziare la quota onorifica e quella funzionale che la compongono a partire dalle formule comprese all'interno delle proposizioni causali dei decreti. Il servizio atteso da un prosseno consiste innanzitutto nell'intermediarietà, con riguardo all'azione svolta all'interno della propria madrepatria (48-81).
Il secondo capitolo (90-147) verte sulla valenza politica della prossenia. L'interesse dell'autore sembra piuttosto concentrarsi sulla madrepatria del prosseno, anziché sulla città erogante la prossenia: il prosseno, nell'accettare tale ruolo, è mosso dal desiderio di evidenziare il proprio status elitario all'interno della comunità di origine, in una competizione aperta tra concittadini di ugual rango. In sostanza la prossenia sarebbe un importante marker di status (113).
Nel successivo capitolo (148-89) l'autore affronta in modo originale un materiale documentario non studiato prima in modo sistematico: cioè i cataloghi e le liste cronologiche dei prosseni (152-4; cfr. 286-7), che si affermano in modo preponderante con la fine dell'età classica. Le epigrafi sono indagate nella loro ampia valenza documentaria. Ne emerge una ricostruzione secondo cui tali reti di prosseni costituiscono il tessuto connettivo delle città (149).
Nel quarto capitolo (190-232) l'autore, con ragionamenti molto teorici avanzati all'interno del moderno campo degli International Relations Studies, afferma che la prossenia, al pari dell'abitudine di inviare theoroi oppure dikastai (200), costituisce la via privilegiata affinché le poleis si sentano inserite all'interno del "polis system".
Il capitolo finale (233-81) percorre la trasformazione "from interstate anarchy to imperial hierarchy" (233), con approdo finale a un mondo controllato da Roma, che diventa il punto di riferimento per l'autorità, il prestigio e anche l'identità di ogni città (281).
Il lavoro si presenta solido, ben condotto e seriamente motivato. Richiederebbe pertanto una lunga discussione per dare conto dei molti temi meritevoli di discussione. Mi limiterò qui a esporre per brevità solo alcune considerazioni di dettaglio e un breve giudizio conclusivo.
Le formule delle proposizioni causali dei decreti non sono adatte a elaborare un set di compiti o di atteggiamenti attesi dal prosseno. Le formule, infatti, sono genericamente allusive a comportamenti utili e collaborativi. I contenuti reali non sono quasi mai dettagliati proprio perché le competenze di un prosseno sono malleabili e adattabili alle circostanze che via via si presentano, come la casistica del fenomeno può agevolmente confermare. Se lo stesso paradigma formulare continua pressoché simile sul lungo periodo (81-89), la presenza di formule non garantisce comunque la stabilità e l'invariabilità anche della funzione a esse sottesa.
A proposito del luogo in cui il prosseno deve esercitare i suoi servizi, l'autore afferma che l'aspettativa generale, desumibile dai formulari, mostra che l'attività dovesse essere espletata nella città di origine dell'onorato: lo indicherebbe l'uso dell'etnico nell'onomastica dell'onorato e inoltre il riferimento all'accoglienza degli stranieri (52). Qui si rivela però una difficoltà, che costituisce l'ambiguità di fondo di tutto il volume: i testi epigrafici non sono considerati secondo la loro cronologia relativa e il loro specifico contesto storico, ma sono assimilati alla ricerca di una regola che tutti li comprenda e li accomuni. L'uso dell'etnico non pare indicativo, infatti, del luogo di espletamento del beneficio, come anche ammette implicitamente l'autore quando prevede supplementi alla regola (54-55) oppure eccezioni (55-6). Soprattutto poi risulta difficile tracciare regole troppo severe in un materiale che per sua natura è caratterizzato dalla flessibilità delle funzioni. Anche i prosseni meteci possono complicare il quadro (56). I pochi decreti che concedono prossenia e privilegi fiscali sono considerati eccezioni (57), come quello per Herakleides di Salamina cipria, che ottiene entrambi gli onori. Come mercante egli poteva risiedere per parte dell'anno ad Atene e in ogni caso il suo etnico non significa che egli espletasse la prossenia nella propria città di origine: la espletava sulle rotte mercantili dove il suo mestiere di mercante di grano gli concedeva di essere utile alla sua seconda patria, Atene. I mercanti di grano non costituiscono pertanto un'eccezione, ma la loro utilità ad Atene come prosseni ha un senso se rapportata al loro contesto storico, cioè dopo la metà del IV secolo, quando Atene attraversa una seria crisi granaria e non può più disporre delle proprie risorse imperialistiche.
Sulla valenza politica della prossenia l'autore forse mostra eccessiva prudenza. In particolare sul tema dell'abbattimento delle stele contenenti decreti di prossenia, egli giudica che il fenomeno non fosse legato a cambiamenti istituzionali. Anche di fronte ai casi ateniesi di distruzione, da lui censiti, e che sono rapportabili alla tirannide dei Trenta, l'autore privilegia un'improbabile ideologia oligarchica: attraverso la distruzione del manufatto si sarebbe voluto restringere i diritti di partecipazione civica che, in taluni casi, avvicinavano i prosseni ai cittadini (enktesis, 94-5). Qui nuovamente si evidenzia un aspetto di criticità: quello cioè di trattare tutta la documentazione nel suo complesso come se fosse un'unica indifferenziata materia, privilegiando solo gli aspetti omologanti. Trattando dei documenti di prossenia dell'Atene del V secolo e ancora del primo IV secolo, occorre riconoscere l'altissimo livello di funzioni che sono richieste ai prosseni da Atene: le loro azioni, sovente di caratura politica, diventano altamente partigiane e per questo non passano indenni nel cambio istituzionale alla fine del V secolo (mi permetto di rimandare al mio contributo Abbattere la stele. Riscrittura epigrafica e revisione storica ad Atene, CGG 14, 2003, 241-62 = AIO Papers 2, May 2014).
Sui "networks of proxenoi", vero tessuto connettivo tra le poleis (149), l'analisi presenta aspetti di originalità. Con un certo slittamento di prospettiva l'attenzione è spostata dall'individuo alla città del prosseno. I legami di prossenia divengono, infatti, legami tra due città, in virtù di una certa proprietà transitiva tra il prosseno e la sua madrepatria (156). Lo spunto è senz'altro da accogliere perché seriamente fondato. Si avverte però l'urgenza di una discussione comparativa dei documenti, poiché risulta evidente che la tipologia è un prodotto dell'età ellenistica (con una sola anticipazione nel pieno IV secolo: App. nr. 10). La tendenza a rilasciare doni plurimi e simultanei di prossenia, via via affermatasi con la tarda età classica, ha veramente cambiato volto all'istituzione che presenta ora l'immagine di una vitale "inter-polis interaction", di una reale "connectivity map" (179), preservando come attive e dinamiche le finalità dell'istituzione, benché mutate nei loro obiettivi primari (173).
Se l'uso dei prosseni servì a definire in età ellenistica lo status delle città e a segnalare la loro partecipazione all'interno del "polis system", quest'ansia di autorappresentazione delle città non avrà finito tuttavia per svuotare la prossenia, almeno in parte, del suo significato tradizionale e della sua originaria funzione? La via nuova per risolvere il secolare dibattito sulla contrapposizione tra funzione e onore nell'epocale passaggio dalla tarda età classica a quella ellenistica sta proprio qui. L'autore la lascia intravedere, senza far emergere la riflessione che è di grande portata. Nelle prossenie approvate per individui singoli la funzione 'connettiva' e di autorappresentazione poleica occupa senz'altro la seconda posizione rispetto alle considerazioni dei particolari meriti di un determinato onorato. Nei networks dei prosseni, invece, lo stretto legame tra "polis status" e dono della prossenia appare emergente: ed ecco che la prossenia mostra di cambiare funzionalità e premia simultaneamente gruppi di individui e intere delegazioni straniere giunte dalla loro madrepatria (205).
In conclusione il libro ha voluto studiare la prossenia ma anche, contemporaneamente, portare un contributo allo studio della storia e della teoria istituzionale (282). La sensazione alla fine della lettura è che la seconda anima del libro abbia preso il sopravvento sulla prima e che il volume sia molto più incentrato sul sistema-polis che sulla prossenia. Tale operazione ha comunque un suo prezzo. Il punto di forza: offrire un'intelligente, aggiornata, uniformante e suadente lettura di una realtà che è però recalcitrante a eccessive omologazioni. Il punto di debolezza: aver perso la specificità delle situazioni e il gusto delle variazioni e delle differenze, secondo luoghi, persone e cronologie diverse, al fine di affermare la durata sul lungo periodo del 'paradigma del prosseno'.
Enrica Culasso Gastaldi