Vivienne J. Gray: Xenophon's Mirror of Princes. Reading the Reflections, Oxford: Oxford University Press 2010, VII + 405 S., ISBN 978-0-19-956381-4, USD 150,00
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Senofonte ha spesso sofferto e continua a soffrire di più di un pregiudizio critico, nonostante il costante e, anzi, crescente interesse della scholarship per l'autore, soprattutto nell'ultimo decennio. Tra gli studiosi maggiormente attivi e impegnati in una riconsiderazione di questa figura un posto di rilievo spetta senz'altro a Vivienne J. Gray.
Il libro qui recensito costituisce un efficace lavoro complessivo di rielaborazione e di sintesi di idee e suggestioni avanzate nel corso di pubblicazioni che coprono un trentennio e che concernono pressoché tutto il corpus senofonteo. Nelle intenzioni dell'autrice, il lavoro non vuole però essere la summa di una ricerca così tenacemente condotta, ma si propone come un'opera incentrata su un singolo tema, per quanto ampio e trasversale: la presentazione letteraria dei vari tipi di leadership, inseriti nei rispettivi contesti. Un tema affascinante, affrontato con un'indagine serrata in sette ampi capitoli, strettamente collegati tra loro. Completano il libro le conclusioni, la bibliografia utilizzata e alcuni indici (dei passi, dei nomi e degli argomenti discussi, quest'ultimo fin troppo stringato).
Il primo capitolo, di stampo programmatico, si intitola significativamente, e con scelta ad effetto, 'Mirror of Princes or Flaws in the Glass?: General Remarks'. Qui trova chiarimento un equivoco che potrebbe insorgere da una lettura del titolo del libro, peraltro effettivamente di per sé un poco fuorviante. Sarebbe infatti vano trovarvi semplicemente un'introduzione convenzionale al problema dello speculum principis e della sua diffusione nel IV secolo a.C., di cui certamente Senofonte può essere annoverato tra i precursori (almeno con la Ciropedia e lo Ierone, testi comunque fondanti nell'analisi della Gray). Infatti l'autrice intende la leadership in senso volutamente estensivo, comprendendo sia i grandi imperi asiatici (Ciro II su tutti), sia le forme di potere ben riscontrabili nelle diverse poleis greche, sia anche la dimensione ristretta dell'oikos (riflessa nell'Economico).
La Gray introduce il lettore subito in medias res, in quello che è il Leitmotiv di tutto il libro: l'importanza dell'insegnamento di Socrate per Senofonte, che si riverbera non solo nei cosiddetti scritti socratici ma pressoché in tutte le opere. Anzi, dalla lettura si evince che il ruolo svolto dal magistero socratico acquista un'importanza decisiva e comunque ineludibile, anche per quegli scritti che apparentemente sembrano più lontani dalle tematiche del filosofo, come i Poroi (36-37). Una chiave interpretativa solo apparentemente sorprendente, e che trova alcune consonanze nel campo degli studi più recenti anche con altri approcci critici allo scritto. [1]
Accanto a ciò, la Gray sottolinea con forza la volontà e, direi, la necessità di indagare attentamente dal punto di vista narratologico l'opera di Senofonte, operazione senza la quale sarebbe vano scoprire la sua interpretazione delle immagini del potere.
A queste principali chiavi di lettura del libro si accompagna anche una polemica, garbata ma decisa e costante pressoché in tutte le pagine, contro un preciso filone interpretativo, ricorrente e assai diffuso. La critica che viene mossa è anzitutto contro l'interpretazione senofontea offerta a suo tempo da Leo Straus, nel suo noto saggio sullo Ierone (pubblicato originariamente nel 1948) e da quanti a lui si ispirano, direttamente o indirettamente, secondo recenti trends della critica. Certamente lo Senofonte che emerge dalla lettura di Gray è un autore radicalmente diverso da quello proposto da Strauss, che si esplica nella nota formula dell'ermeneutica della reticenza. Una tesi molto discussa già a suo tempo, a cominciare dalla critica di A. Kojève, [2] con argomenti dai quali peraltro la Gray si distanzia (cfr. 177), in una visione autonoma, coerente e originale di cui le va dato senz'altro atto.
L'autrice contesta anche la posizione della (peraltro variegata) tendenza critica definita 'darker readings', in particolare l'idea di fondo sottesa in questo filone di studi, incentrata sul rapporto tra ironia socratica e senofontea, secondo la quale il poligrafo ateniese sarebbe un autore pieno di chiaroscuri, spesso volutamente ambiguo nel rapporto e nella comunicazione con il suo pubblico di kaloikagathoi. [3]
Per smontare questa immagine la Gray articola la sua analisi soprattutto attraverso un'indagine di alcuni patterns narrativi, a cominciare dagli interventi autoriali discussi nel secondo capitolo. Nel far ciò la studiosa sottolinea sostanzialmente la schiettezza espositiva dell'autore, anche laddove questi usa formule correttive o tende a sfumare il suo giudizio, pur mantenendo coerenza e preciso rigore deontologico.
Uno dei capitoli più interessanti del volume è il terzo, in cui Senofonte viene fatto interagire con la tradizione letteraria precedente, ma anche coeva (Omero, Erodoto, in parte Tucidide e, sullo sfondo, Platone). Più sfocato è invece il rapporto con altri autori: è significativo di ciò il fatto che storici come Teopompo vengano addotti a confronto solo in modo cursorio nelle pagine del volume (cfr. 63, 76-77).
Dall'indagine emerge, in modo convincente, un rapporto di intertestualità che svela un Senofonte nuovo, anche in opposizione ad una certa communis opinio portata a sminuirne la cifra stilistica e letteraria. Non vi è da dubitare che questo possa essere un fecondo campo di indagine, in una ricerca sistematica dei rapporti di allusività e di interazione letteraria dello scrittore con altri autori. Ne risulta dunque che l'Ateniese è non solo uno storico, un memorialista o, più genericamente, un poligrafo (quantunque intriso del magistero socratico), ma diventa davvero un 'literary artist' di primo livello: un letterato in grado di operare un uso sapiente e innovativo delle strategie letterarie, anche quelle più complesse e raffinate.
Le dinamiche dell'amicizia e dell'affermazione della leadership all'interno dell'opera senofontea costituiscono un altro elemento importante nell'analisi della Gray. Tra i personaggi studiati nel sesto capitolo (ma anche altrove, nel volume) spiccano Ciro II e Agesilao. A tal proposito la chiave di lettura proposta, pur nella sua linearità, necessita di ulteriori elementi per una precisa focalizzazione (anche solo sul piano narratologico), come emerge dall'analisi sul rapporto tra Agesilao e le città greche d'Asia (327). Infatti un'interpretazione in senso solo etico-filosofico-letterario non coglie o lascia sullo sfondo tutte le componenti politiche e sociali insite nelle dinamiche della reciprocità, anche se la studiosa presta una certa attenzione a quest'ultimo aspetto. Queste sono peraltro evidenti già a proposito di Lisandro e della sua attività nella stessa area geografica (234 ss.) e vanno inquadrate nel rapporto tra élites locali [4] e personalità di tipo carismatico (in senso weberiano, peraltro opportunamente rivisitato nel volume: cfr. 374 e nota 4).
Tra i vari punti specifici meritevoli di un approfondimento si ricorda qui solo l'analisi dello Ierone (partic. 158-178), che rappresenta il testo su cui maggiormente si è registrata una discordanza, anche radicale, nella critica. Riprendendo riflessioni espresse in lavori precedenti e coerentemente con la chiave interpretativa proposta, la Gray, a mio avviso giustamente, propende per una matrice eminentemente letteraria, nel gioco dell'allusività riguardo al topos, ben consolidato, dell'incontro tra il tiranno e il saggio. Pertanto si oppone sia alla lettura di Strauss sia anche alla tendenza a scorgere un messaggio nascosto, 'storicizzando' il dialogo tra Simonide e Ierone e individuando una doppia chiave di lettura (la Sicilia dei Dinomenidi e quella di Dione e soprattutto dei Dionisî, che sarebbero stati i referenti dell'autore, secondo note ipotesi di J. Hatzfeld e, con maggior risolutezza, di M. Sordi, portata ad identificare Ierone con Dionisio I). [5]
Nell'analisi complessiva contenuta nel volume il dialogo è serrato soprattutto con certa scholarship di stampo filosofico-letterario (piuttosto che di ambito strettamente storiografico). È invece lasciato spesso (direi volutamente) in subordine il contesto sociale e politico in cui le opere vennero composte, che certo avrebbe giovato anche per una maggiore focalizzazione del lettore reale di Senofonte (su cui cfr. comunque 51-54), togliendo così una certa patina di astoricità o, meglio, di metastoricità che si insinua talora nel volume.
È evidente pertanto che il libro della Gray, per il tipo di indagine e di argomentazioni addotte, in primo luogo sarà senz'altro molto utile, se non di fondamentale importanza per chi si accosta a Senofonte con occhio attento alle sue tecniche letterarie (e al sostrato filosofico). Costituirà poi anche un'utile occasione di confronto e di riflessione per lo storico in senso stretto (abituato a leggere e a confrontare il poligrafo, anche nei suoi silenzi e nelle sue reticenze, con la produzione storiografica e la pubblicistica, coeva e non, nonché con la costruzione della leadership desumibile da altre fonti, come quelle epigrafiche).
Note:
[1] Per una lettura in questo senso cfr. S. Schorn, Xenophons Poroi als philosophische Schrift, "Historia", 60 (2011), 65-93.
[2] Sulla critica del secondo all'impostazione teorica del primo e la relativa discussione tra i due studiosi vd. i testi e la documentazione addotta in L. Strauss - A. Kojève, Sulla tirannide, Milano 2010 (ed. italiana a cura di G.F. Frigo).
[3] Tra gli altri, V. Azoulay, C. Nadon, J. Tatum, autori di opere specifiche sulla leadership senofontea.
[4] Cfr., per tutti, P. Debord, L'Asie Mineure au IVe siècle (412-323 a.C.). Pouvoirs et jeux politiques, Bordeaux 1999 e, più in generale, A. Duplouy, Le prestige des élites. Recherches sur les modes de reconnaissance sociale en Grèce entre les Xe et Ve siècles avant J.-C., Paris 2006 (quello delle élites e delle aristocrazie nel mondo greco-romano è comunque ormai uno dei topics più frequentati nella storia degli studi).
[5] Per un'interpretazione tendente a rigettare una lettura rigidamente 'siciliana' (nel quadro delle complesse dinamiche della prima metà del IV secolo a.C.) rimando alle considerazioni esposte in F. Muccioli, Dionisio II. Storia e tradizione letteraria, Bologna 1999, 59-62.
Federicomaria Muccioli