Johannes Brehm: Generationenbeziehungen in den Historien Herodots (= Classica et Orientalia; Bd. 8), Wiesbaden: Harrassowitz 2013, XIV + 283 S., ISBN 978-3-447-06960-1, EUR 64,00
Inhaltsverzeichnis dieses Buches
Buch im KVK suchen
Bitte geben Sie beim Zitieren dieser Rezension die exakte URL und das Datum Ihres Besuchs dieser Online-Adresse an.
Beat Näf: Antike Geschichtsschreibung. Form - Leistung - Wirkung, Stuttgart: W. Kohlhammer 2010
Rosalind Thomas: Polis Histories, Collective Memories and the Greek World, Cambridge: Cambridge University Press 2019
Giovanni Parmeggiani (ed.): Between Thucydides and Polybius. The Golden Age of Greek Historiography, Cambridge, MA / London: Harvard University Press 2014
Michael Krewet: Vernunft und Religion bei Herodot, Heidelberg: Universitätsverlag Winter 2017
Katharina Wesselmann: Mythische Erzählstrukturen in Herodots Historien, Berlin: De Gruyter 2011
Come è noto le vicende dei re asiatici hanno un ruolo centrale nelle Storie, orientando la narrazione erodotea sia da un punto di vista strutturale sia contenutistico. Lo scopo del libro di Johannes Brehm è fornire un'analisi di tale "Königsfolge", riservando particolare attenzione alle dinamiche generazionali (XIII-XIV).
Nel primo capitolo (1-39), dopo una rassegna delle accezioni che il termine "generazione" assume in diversi campi d'indagine, lo studioso propone un'analisi delle principali teorie moderne (sociologiche e non solo) riguardo ai fenomeni generazionali. Vengono individuate in particolare due prospettive di ricerca: 1) sincronico-sociologica (11-16), che mira ad indagare le caratteristiche di un gruppo d'individui appartenenti all'incirca alla stessa fascia d'età e dotati di "un sentire comune" (38); 2) diacronico-genealogica, che si propone di esaminare la successione e il rapporto tra le diverse generazioni (19-24). Brehm intende soffermarsi da un lato sulle dinamiche relazionali che s'instaurano tra personaggi di "Lebensphasen" differenti; dall'altro sulle genealogie, che vengono costruite sia per modellare una memoria collettiva sia per rafforzare l'appartenenza identitaria (38-39). Un confronto tra alcuni "Lebensphasenmodellen" ideati da alcuni pensatori antichi induce lo studioso a desistere dal tentativo di individuare precise fasce d'età o di identificare una teoria delle "fasi vitali", che fossero comunemente accettate nel mondo greco (32-37).
Il secondo capitolo funge da introduzione alle Storie, mettendo in rilievo la struttura e i nuclei tematici dell'opera, e alcuni tratti della filosofia della storia dell'autore (41-64). Dopo avere esaminato gli aspetti salienti del proemio e il ruolo degli excursus nella narrazione, Brehm analizza più nel dettaglio l'impianto del testo: le cinque γενεαί di re che si succedono da Creso a Serse e i "Geschehenskreise" che ruotano intorno ad essi fungono da "Gliederungsprinzip" (51-55). [1]
Nel capitolo successivo viene affrontato uno dei due principali "blocchi tematici" del libro: le "pädagogische Generationenbeziehungen" tra i re Ciro, Cambise, Dario e Serse e i "saggi consiglieri" Creso e Artabano, coinvolti rispettivamente nelle vicende di due generazioni di sovrani (65-193). [2] La cauta saggezza dei Warner erodotei funge da "Gegenpol" all'audacia dei regnanti (73): il grado di armonia o di conflitto che scaturisce dal confronto è una cartina di tornasole per appurare il livello di ricettività o di cecità dei sovrani stessi. Creso e Artabano, essendo protagonisti di più Königsgenerationen, sembrano possedere particolare autorevolezza: una generazione precedente e una successiva, indipendentemente da precise informazioni anagrafiche, vengono contrapposte in relazioni dai tratti pedagogici (67-74).
Spesso sono gli stessi consiglieri a fare riferimento ad esperienze precedenti per giustificare i loro suggerimenti. Creso, che ha sperimentato il disfacimento del proprio regno, costituisce una sorta di figura paradigmatica. Nei suoi confronti con Ciro ricorda la sua vicenda fallimentare (e.g. I, 86; I, 207), e in quelli con Cambise rievoca proprio la particolare relazione di fiducia instaurata col padre (III, 36). Artabano a sua volta, nel tentativo di distogliere il nipote Serse dalla spedizione contro la Grecia, menziona il fallimento di Dario contro gli Sciti: già allora aveva cercato di fare desistere il fratello da un'impresa così rischiosa (IV, 83) e ora allo stesso modo cerca di consigliare saggiamente il giovane sovrano (VII, 10α). Sia Creso sia Artabano mantengono vive nella narrazione le sapienti riflessioni sulla precarietà dell'esistenza umana esposte da Solone all'inizio dell'opera e le ripropongono in ambiente persiano (192).
Nel secondo nucleo tematico dello studio vengono analizzati i cambi generazionali nelle dinastie lidia, meda e persiana, cercando di mettere in rilievo gli elementi di continuità e di rottura nelle successioni al potere (195-257). Lo studioso rileva le strette relazioni genealogiche che intercorrono tra questi popoli. Creso è divenuto il cognato del re medo Astiage, secondo un accordo matrimoniale sancito per porre fine ad un conflitto sorto tra il padre Aliatte e il re medo Ciassare (I, 73-74). [3] Astiage a sua volta viene spodestato dal nipote Ciro, nato dall'unione del persiano Cambise e della meda Mandane (I, 107-130). L'avvento al potere di Ciro costituisce, secondo Brehm, una "cesura" importante nella rappresentazione erodotea della storia dei regni asiatici: segna infatti l'ingresso in scena dei Persiani e costituisce il punto d'inizio delle successive espansioni di tale popolo. Al contempo però il legame familiare tra le due dinastie, simboleggiato proprio "dall'origine mista" di Ciro, attutisce l'impatto del cambio dinastico (203-233). Un altro rilevante "dynastischer Generationenwechsel" (256) è sancito dall'ascesa al trono di Dario, che dopo avere destituito i Magi restituisce il potere ai Persiani: il matrimonio con Atossa, figlia di Ciro (III, 88), e la scelta di Serse, nato da questa unione, come successore al trono (VII, 2-3), rafforzano il potere del figlio di Istaspe e danno continuità genealogica al regno (244-250). [4]
L'analisi proposta da Brehm, sebbene non tratti argomenti particolarmente originali, si dimostra interessante soprattutto nell'approccio al testo erodoteo: lo studioso dimostra infatti di possedere una buona conoscenza dell'opera che gli permette di cogliere utili collegamenti tra momenti narrativi diversi. Proficuo risulta inoltre il riferimento sia in nota sia in testo ad altre opere antiche, che aiutano a comprendere meglio le rappresentazioni dello storico di Alicarnasso.
Discutibile appare la scelta di dilungarsi nei capitoli iniziali sulle moderne teorie scientifiche a proposito della "Deutungskategorie Generation" (9), che non apportano particolare ausilio interpretativo, e su alcuni elementi molto noti delle Storie (con un approccio a tratti divulgativo). Nello studio delle Generationenbeziehungen in Erodoto sarebbe stato utile soffermarsi (anche solo per un confronto) su altri cambi generazionali significativi, come ad esempio: la cesura tra il regno di Chefren e quello del figlio Micerino (in particolare II, 133); lo scontro tra il tiranno di Corinto Periandro e il figlio Licofrone (III, 50-53); la complessa successione al re spartano Anassandrida (V, 39-42), che richiama in parte il cambio generazionale tra Dario e Serse. Un ultimo rilievo riguarda la bibliografia citata, quasi esclusivamente in lingua inglese e tedesca.
Note:
[1] Già Felix Jacoby: Herodotos, in: RE Suppl. 2 (1913) e in particolare 347-352, tra gli altri, aveva sottolineato la rilevanza della "persische Geschichte" nella costruzione della struttura dell'opera.
[2] La tipica figura erodotea del Warner è stata studiata attentamente da Heinrich Bischoff: Der Warner bei Herodot, Diss., Marburg 1932 e Richmond Lattimore: The wise adviser in Herodotus, in: Classical Philology 34 (1939), 24-35.
[3] Segnalo un refuso a p. 201, dove si legge che Creso sposa la sorella di Astiage. È invece Astiage a sposare Arieni, sorella di Creso, come viene correttamente riportato nello schema a p. 202.
[4] Brehm riserva una parte del IV capitolo alla questione dell'appartenenza o meno di tutti e quattro i sovrani persiani alla dinastia achemenide (233-244). A conclusioni differenti perviene David Asheri: Erodoto, Le Storie, Libro I, La Lidia e la Persia, Milano 1988, 334-336, da consultare per un utile confronto.
Giovanni Ingarao