Véronique Boudon-Millot / Muriel Pardon-Labonnelie: Le teint de Phrynè. Thérapeutique et cosmétique dans l'Antiquité (= Orient & Méditerranée; 27), Paris: de Boccard 2018, 252 S., 15 Farbabb., ISBN 978-2-7018-0551-1, EUR 49,00
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Nato con lo scopo, lodevole, di mettere insieme intorno a uno stesso tema non solo competenze specifiche del settore degli studi classici - storici, filologi, studiosi della medicina antica, archeologi ecc. - ma anche chimici, il volume Le teint de Phrynè, ispirato nel suo titolo alla bellissima Phryne, amante dello scultore Prassitele e nota per la sua proverbiale bellezza, e curato da Véronique Boudon-Millot e Muriel Pardon-Labonnelie, si fa apprezzare soprattutto per la novità di un approccio a 360 gradi. Se l'obiettivo di partenza era indagare con strumenti diversi il medesimo argomento e giungere a conclusioni o risultati meno settoriali ma più precisi e completi, come rileva nelle conclusioni Muriel Pardon-Labonnelie, direi che tale scopo è stato perfettamente raggiunto.
Lo studio si pone lungo una linea di continuità con La coupe d'Hygie. Médecine et chimie dans l'Antiquité curato nel 2013 ancora da Muriel Pardon-Labonnelie, e promette di avere un seguito tanto nella tematica quanto nell'approccio multi/inter/intra disciplinare. Le teint de Phrynè si fa apprezzare per la chiarezza dei diversi contributi, che si presentano accessibili sia a un pubblico di specialisti, sia ad appassionati di storia antica, sia a semplici curiosi. Tale apertura è favorita dalla scelta degli editori di porre le fonti in traduzione nel testo, riportando in nota il dettato originale, e di chiudere ciascun contributo con una bibliografia essenziale sul tema trattato.
Senza volere entrare nei temi specifici trattati dai singoli lavori, per i quali si rimanda al sommario presente online (http://www.deboccard.com/fr/category/15644-Produit-9782701805511.html). Tutti gli autori, in vario modo, sottolineano l'oggettiva difficoltà - che in molti casi diventa impossibilità - di tenere separate la 'cosmetica', specie se intesa in senso moderno, dalla medicina. Lo evidenza per primo Galeno, che in un noto passo dei Medicamenti composti in base ai luoghi (Kühn XII 434.4-435.1) richiamato a più riprese nei diversi contributi (ad es. da Véronique Boudon-Millot e soprattutto da Alessia Guardasole), indicava nella kosmetikè una branca della medicina tesa al ripristino dell'originaria bellezza del corpo compromessa dalle malattie - dermatiti, infezioni ecc.-, distinguendola dalla 'diabolica' kommotikè basata sull'uso di unguenti e belletti finalizzati solo a procurare una bellezza fittizia.
L'incrocio tra cosmetica e medicina percorre tutti i testi medici richiamati nei singoli lavori, e contrassegna i reperti di alcune tombe (vedi l'interessante contributo di Claire Barbet), tanto più che in moltissimi casi una stessa sostanza o una stessa ricetta aveva proprietà sia cosmetiche che medicamentose. Non è certo un caso che opere pervenute o ricordate sotto il titolo di Kosmetikòn/Kosmetikà appartenessero a medici, come, ad esempio, Critone vissuto tra I e II secolo d.C. all'epoca dell'imperatore Traiano la cui opera, in quattro libri, andata perduta, era ancora nota sia a Galeno, che ne forniva un riassunto (Medicamenti composti in base ai luoghi, Kühn XII 446.14-449.7), sia a medici di epoca bizantina.
L'incrocio tra il mondo e le tecniche di indagine degli antichisti e gli studi moderni di laboratorio si presenta in maniera perfetta in relazione alle analisi effettuate da Marlene Aubin et alii sulle tracce del collirio detto stratiotikòn ritrovate a Lione in alcuni contenitori. In questo caso i dati di laboratorio completano e chiariscono quelli provenienti dalle fonti letterarie (in particolare Celso e Scribonio Largo), consentendo di precisare quali ingredienti intervenissero nella preparazione del medicamento, e quali reali proprietà il preparato avesse.
Anche i restanti studi presenti nel volume offrono immagini nuove del mondo antico. Se la donna era per lo più destinataria dei cosmetici - trucchi per gli occhi, parrucche, maschere - finalizzati a contrastare gli effetti del tempo e a coprire i segni dell'invecchiamento (Antonio Ricciardetto, Muriel Pardon-Labonnelie, Marie-Hélène Marganne, Danielle Gourevitch, Marie-Claire Rolland, Florence Gherchanoc, Christophe Bouquerel), il tatuaggio, oggi tanto di moda tra le giovani generazioni, da marchio disonorevole per contrassegnare schiavi, prigionieri di guerra, condannati ai lavori forzati, divenne in epoca tardo imperiale segno di una moda imperante specialmente tra i soldati, come sottolinea Philippe Mudry nel suo interessantissimo studio. A fronte di una sola ricetta sopravvissuta sulle tecniche per imprimere un tatuaggio, ne rimangono invece molte finalizzate a togliere un segno, che nella maggior parte dei casi stava a indicare una pregressa condizione di sudditanza e costituiva un marchio di infamia.
Se, come detto, l'analisi di un tema comune sulla base di competenze diverse era l'obiettivo de Le teint de Phrynè, si può dire che esso sia stato pienamente raggiunto. Anzi, come già La coupe d'Hygie (2013), il volume ha saputo mostrare un approccio diverso a temi antichi fornendo un modello interessante per ulteriori ricerche. Una sola annotazione può essere fatta a uno studio complessivamente di grande qualità: la prevalenza di letteratura in lingua francese, e, in alcuni lavori, di una bibliografia assolutamente insufficiente in relazione al tema trattato. Un neo, questo, incapace certamente di intaccare la validità di un progetto, che è auspicabile possa avere nelle tematiche e nell'approccio un suo proseguimento.
Giuseppe Squillace