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Corrado Zedda: Ai piedi dell'apostolo. Sede apostolica e spazio tirrenico (secoli XI-XII) (= Ordines. Studi su istituzioni e societá nel medioevo europeo; 10), Milano: Vita e Pensiero 2020, XX + 334 S., ISBN 978-88-343-4254-1, EUR 34,00
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Rezension von:
Alessandro Soddu
Dipartimento di Storia, Scienze dell'Uomo e della Formazione, Università degli Studi di Sassari
Redaktionelle Betreuung:
Étienne Doublier
Empfohlene Zitierweise:
Alessandro Soddu: Rezension von: Corrado Zedda: Ai piedi dell'apostolo. Sede apostolica e spazio tirrenico (secoli XI-XII), Milano: Vita e Pensiero 2020, in: sehepunkte 21 (2021), Nr. 6 [15.06.2021], URL: https://www.sehepunkte.de
/2021/06/35635.html


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Corrado Zedda: Ai piedi dell'apostolo

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Il merito principale di Corrado Zedda è quello di cercare di compiere una ricostruzione d'insieme volta a collegare «in un percorso comune le isole di Sardegna e Corsica in rapporto alla Penisola Italiana» (XVII) e nello specifico alla Sede apostolica, grosso modo tra la seconda metà dell'XI secolo e le prime tre decadi del XII (da Gregorio VII a Innocenzo II), l'intera fase della Riforma e della "lotta per le investiture".

Giocando con il titolo dell'opera, tuttavia, va sottolineato che l'autore sembra porsi idealmente al fianco dell'Apostolo, sposando ottica e progetti dei pontefici, seguendone passo dopo passo successi e fallimenti, tanto che lo spazio tirrenico del sottotitolo sembra venga da lui interpretato - ora come auspicio, ora come obiettivo conseguito - nei termini di spazio tirrenico della Sede apostolica. Sembrerebbe cioè orientativamente che le due isole maggiori di Sardegna e Corsica, le isole minori dell'alto e medio Tirreno, nonché Pisa e Genova, siano state oggetto di un ampio, ma forse non altrettanto preciso, progetto della Sede apostolica che avrebbe dovuto portare ad un loro ugualmente non così preciso controllo politico, grazie a una rete di rapporti che investe pienamente i poteri laici ed ecclesiastici locali, urbani e rurali. A questi soggetti è riservata una particolare attenzione nell'architettura dello stesso volume, caratterizzato per questo motivo da una visione multifocale.

In realtà lo stesso Zedda non solo evidenzia a più riprese le difficoltà incontrate dai pontefici, prima ancora che nel tentativo di realizzare tale ambizioso progetto, nella costruzione e nel diffuso riconoscimento della loro alta autorità, ma ovviamente è costretto a far presente che il dibattito storiografico sul «concreto programma politico» (11) di Gregorio VII (che nelle pp. 11-13 sembra doversi intendere esclusivamente come un programma di sottomissione feudale), ad esempio, è tutt'altro che concluso.

L'interpretazione proposta in prima battuta da Zedda è quella della costruzione di uno spazio politico tirrenico sottoposto al dominio diretto della Sede apostolica, che di questo spazio si sarebbe servita per proteggere Roma e il Patrimonium Sancti Petri, fondando i propri diritti sulla rivendicazione della Corsica e della Sardegna come pertinenze dello stesso Patrimonium (sostanzialmente in forza del Constitutum Constantini) e sulla riconosciuta giurisdizione ecclesiastica della Chiesa di Roma sulla diocesi di Pisa, sulla Corsica e sulla Gallura (nord-est della Sardegna). Relativamente alla paternità di questo progetto, Zedda sostiene che «se la creazione di un ambito di influenza tirrenico poteva essere stato un desiderio latente in alcuni papi riformatori precedenti a Gregorio [...], con Gregorio il desiderio divenne azione di governo e, in questo senso, una vera e propria creazione» (78). Per Zedda non si trattò cioè della «generica rivendicazione di un'autorità pontificia sullo spazio tirrenico», ma della «vera e propria costruzione di uno spazio di pertinenza papale, una creazione forse anche megalomane di un qualcosa che prima non c'era ma alla quale il pontefice diede forma» (84). Al di là della condivisibilità della interpretazione circa la megalomania di Gregorio VII, l'autore decide di non citare se non in maniera del tutto sporadica e contingente, senza mai entrare nel merito, i contributi fondamentali forniti, a partire dal 1992, da Raimondo Turtas sulla politica di Gregorio VII e dei suoi successori, almeno relativamente alla Sardegna.

Come detto, a un certo punto Zedda sembra cambiare idea circa gli obiettivi della politica gregoriana, preferendo piuttosto parlare di dominio indiretto e di alta autorità della Sede apostolica, che avrebbe offerto il proprio potente ombrello protettivo a quanti, in tutto l'Occidente cristiano, si fossero dimostrati disposti ad accogliere i principi della Riforma e a riconoscere nel pontefice la somma autorità universale, fonte di legittimazione dei poteri sovrani a lui subordinati. Da questo punto di vista, gli attori del cosiddetto spazio tirrenico (così come alcuni di quelli che si affacciavano sull'Adriatico) andavano a formare con la marca di Tuscia e i ducati normanni un solido arco di fedeli alleati della Sede apostolica. Zedda riformula in questo modo quello che chiama il «pioneristico concetto di spazio tirrenico» costruito da Gregorio VII e basato sulla «accettazione, da parte delle autorità laiche che governavano al suo interno, della riforma nei suoi aspetti dottrinali e della lotta alla simonia», ma anche del «ruolo del pontefice quale alta autorità, superiore alle altre terrene» (288). Con riferimento a Corsica e Sardegna, scrive ancora Zedda, «[a]ccettare l'alta autorità della Sede Apostolica voleva dire per i marchesi corsi e i giudici sardi porsi sotto un ombrello protettivo che garantisse da intrusioni esterne nei confronti del proprio potere personale. E così era stato: la Sardegna giudicale e la Corsica marchionale, aderendo al progetto gregoriano, avevano scelto il loro protettore, riconfermando la propria adesione, pur non sempre in modo omogeneo, anche nei decenni successivi a Gregorio, quando lo stesso impianto dello spazio tirrenico pareva essere stato messo in discussione» (288).

L'evoluzione dei progetti pontifici è dunque riconosciuta da Zedda nel loro progressivo venir meno, nel momento in cui ad assumere decisamente il controllo dell'auspicato "spazio tirrenico pontificio" fu Pisa, che, in conflitto con Genova, ebbe nella Sede apostolica certamente un fondamentale punto di riferimento, essendo però il papa più il regista che il principale attore della scena politica. Punto di svolta è l'elevazione della Chiesa pisana a metropolìa nel 1092 ad opera di Urbano II e l'assegnazione alla stessa delle diocesi della Corsica come suffraganee. Un evento seguito da continui ripensamenti da parte della Sede apostolica, in negativo e in positivo, un percorso tortuoso e apparentemente contraddittorio di cui Zedda ricostruisce con precisione le tappe, connettendo i dati prosopografici dei pontefici con le strategie contrapposte di Pisa e Genova, non senza il coinvolgimento anche dei clerici et laici della Corsica. Com'e noto, l'escalation pisana culmina - a fronte dell'assegnazione alla neocostituita arcidiocesi di Genova nel 1133 di tre diocesi corse - nell'attribuzione alla Chiesa pisana nel 1138 della giurisdizione sulle diocesi galluresi di Civita e Galtellì insieme alla concessione della legazia sulla Sardegna e della primazia sull'arcidiocesi di Torres. In proposito Zedda parla di decisione da parte del pontefice di «'subappaltare' a terzi» il controllo del cosiddetto spazio tirrenico, dopo «decenni di diretto controllo romano» (289), individuando nei provvedimenti di Innocenzo II «l'inizio di una politica di progressive rinunce da parte della Chiesa di Roma all'esercizio e soprattutto alla salvaguardia dei suoi diritti sulla Sardegna, al pari di quanto stava accadendo sulla Corsica» (290).

Alessandro Soddu