Rezension über:

Pier Francesco Listri: Firenze. La storia e le imprese, Florenz: Leo S. Olschki 2006, X + 149 S., ISBN 978-88-222-5343-9, EUR 65,00
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Rezension von:
Gian Luca Podestà
Facoltà di Economia, Università degli Studi di Parma
Redaktionelle Betreuung:
Julia A. Schmidt-Funke
Empfohlene Zitierweise:
Gian Luca Podestà: Rezension von: Pier Francesco Listri: Firenze. La storia e le imprese, Florenz: Leo S. Olschki 2006, in: sehepunkte 8 (2008), Nr. 11 [15.11.2008], URL: https://www.sehepunkte.de
/2008/11/12979.html


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Pier Francesco Listri: Firenze

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La storia economica di una regione ricca di tradizioni come la Toscana è anche la storia delle imprese che si sono distinte nei secoli e che ne hanno tramandato le migliori qualità produttive.

Le più raffinate lavorazioni nel settore tessile, nell'artigianato orafo e nelle ceramiche traggono le proprie origini dall'eredità delle corporazioni medioevali che già nel Duecento si distinguevano in Europa per l'eccellenza delle proprie produzioni. Il sistema delle botteghe artigiane toscane, specie quelle della lana, ha costituito il nerbo dell'economia regionale almeno fino al Rinascimento. Francesco Datini, il grande mercante di Prato, ci ha lasciato nei suoi archivi un segno tangibile della straordinaria vitalità delle manifatture toscane.

Nei secoli dello splendore le arti erano patrone e custodi dei maggiori monumenti, finanziavano ospedali e ospizi, costituivano, insomma, l'essenza stessa della vita politica cittadina. Al loro interno custodivano gelosamente i segreti delle lavorazioni. Più tardi, con l'affermazione dell'assolutismo regio, le arti persero la loro vitalità politica, ma continuarono a essere le custodi dei saperi tecnici.

Superate dalle manifatture del Nord Europa nei prodotti meno pregiati, come i panni lana, gli artigiani fiorentini si specializzarono nel settore dei beni di lusso nei quali eccellevano. Setaioli, orafi, ebanisti rifornivano le corti e le famiglie aristocratiche di tutta Europa. La stessa corte principesca del granduca, già dal Cinquecento, stimolava queste produzioni di elevata qualità e alto valore.

Fin dal Medioevo, a fianco delle manifatture e della mercatura, si era sviluppato un fiorente settore creditizio. Nel Duecento i grandi banchieri fiorentini prestavano capitali alle grandi dinastie europee, fondando le radici della banca toscana. Le grandi famiglie, tra cui svettavano i Medici e gli Strozzi, tramite le loro imprese familiari, ramificate in tutta Europa, esercitavano sia il commercio in grande stile sia l'esercizio del credito. I banchieri toscani, concorrenti di quelli genovesi, erano protagonisti delle fiere dei cambi, l'istituzione ove l'aristocrazia del denaro regolava i movimenti di capitale e fissava il valore delle monete di oro e argento.

In seguito, quando l'economia italiana perse il proprio slancio superata dalle più dinamiche regioni del Nord Europa, Firenze e la Toscana si specializzarono in alcune produzioni. La regione si inserì nella nuova divisione internazionale del lavoro specialmente come fornitrice di prodotti alimentari e materie prime minerali. Fu l'epopea del grande slancio del porto di Livorno, ove le navi dei mercanti olandesi e inglesi sbarcavano pesce dell'Atlantico, tessuti e altri manufatti, imbarcando vino, grano, olio e minerali. Fu così che la a Toscana potè restare agganciata ai gran correnti commerciali europei. Incoraggiata dall'ascesa dei prezzi dei prodotti agricoli, sostenuta dalla crescita della domanda, l'aristocrazia investì crescenti capitali nelle proprie tenute. Il granduca favorì questo processo contribuendo alle bonifiche nella zona della Maremma.

Non mancavano però settori industriali vitali. La Toscana esportava anche sete, carta e cappelli di paglia, prodotto quest'ultimo realizzato dalle donnine della campagna che lavoravano a domicilio su commessa dei mercanti cittadini. Favorita dalla politica liberista del granduca, Livorno era nel Settecento forse la città culturalmente più viva, dopo Firenze. La sua formazione rapida aveva attirato ebrei, levantini e altri stranieri che ne costituivano il nerbo economico. Questa mescolanza di genti favorì lo spirito di tolleranza e una curiosità cosmopolita. A Livorno, appunto, fu pubblicata la prima vera edizione italiana dell'Enciclopedie di Diderot e D'Alambert, il monumento dell'illuminismo settecentesco. Il fervore culturale favorì la nascita di una vivace industria editoriale destinata a consolidarsi dopo l'unità.

All'indomani dell'unificazione del Paese l'economia della Toscana era ancora quale l'abbiamo tratteggiata sopra. Al suo interno, però, erano già presenti quei fermenti che ne avrebbero favorito il decollo industriale nei decenni successivi. Furono alcuni imprenditori stranieri a stimolare la crescita dei settori industriali più moderni come Larderel e Solvay nella chimica. Più tardi, grazie anche al fatto che il nazionalismo economico cominciò a permeare i ceti dirigenti, le nuove tariffe protezionistiche favorirono la nascita della moderna industria siderurgica toscana che utilizzava i giacimenti di ferro dell'Isola d'Elba. Fra i nuovi stabilimenti industriali destinati a contribuire in modo decisivo all'industrializzazione italiana vanno annoverate le Acciaierie di piombino, il Pignone di Firenze, la Solvay di Rosignano. Accanto a queste punte di modernità continuavano a permanere settori più tradizionali come quello del marmo nelle Alpi Apuane, che impegnava ancora il lavoro di migliaia di "scalpellini".

Lo sviluppo fu favorito dal netto miglioramento dei trasporti. Nel 1860 sorse la Società delle strade ferrate livornesi; nel 1862 la Società delle strade ferrate meridionali, di cui era principale protagonista il finanziere e uomo politico livornese Pietro Bastogi; nel 1864, infine, la Società strade ferrate Romane, che riuniva le ferrovie toscane. Due grandi banche di credito e di emissione, la Banca Toscana di Credito e la Banca Nazionale Toscana, erano al centro della grande finanza italiana, nel solco delle migliori tradizioni creditizie della regione.

Fu così che a cavallo dei due secoli cominciò a prendere forma la Toscana moderna. A fianco dei settori più tradizionali (agricoltura, marmo, ceramiche, cappelli di paglia) si integrò progressivamente il moderno apparato industriale (siderurgia, chimica e cantieristica) favorito anche dalla presenza di numerosi giacimenti. Lo sviluppo non poteva avvenire senza il supporto di un vivace settore culturale. Dalle tradizionali accademie settecentesche all'università, dalle unioni artigiane alle nuove associazioni industriali, tutte le istituzioni diedero un contributo importante alla crescita, legando le tradizioni alle più moderne innovazioni tecnologiche. Il volume di Pier Francesco Listri è un affresco vivace su otto secoli di storia toscana. L'autore ha il merito di mettere in luce come le trasformazioni economiche siano avvenute sempre nel solco di una "storica" tradizione imprenditoriale della regione. In questo senso, si può quindi dire, che la "path dependance" abbia funzionato come un efficace fattore di sviluppo.

Gian Luca Podestà