Gian Carlo Garfagnini (a cura di): La Politica in Toscana da Dante a Guicciardini. Atti del Convegno, Firenze, 7-8 maggio 2014, Firenze: Edizioni Polistampa 2017, 198 S., ISBN 978-88-596-1699-3, EUR 16,00
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Il volume curato da Gian Carlo Garfagnini raccoglie gli atti di un convegno di studi organizzato nel 2014 dall'Associazione Guido e Francesco Mazzoni e offre un approfondimento sulla cultura e sulla prassi politica in Toscana, nel lungo periodo compreso tra la riflessione di Dante e quella di Guicciardini.
Il primo studio è il saggio di Francesco Mazzoni che riprende la tormentata questione dei rapporti tra Papato e Impero, proponendo una rilettura della Monarchia di Dante e rivedendo l'interpretazione dell'opera, grazie a una sua puntuale contestualizzazione nel quadro della cultura - e situazione - politica del tempo. Con la Monarchia, secondo Mazzoni, ci troviamo di fronte ad un trattato che vuole dimostrare la necessità di indipendenza dell'Impero dalle ingerenze del potere della Chiesa, senza per questo affermare un principio laicistico, estraneo alla mentalità e al tempo di Dante. Essa resta pertanto l'opera "di un cristiano che affronta il secolare problema dei rapporti tra papato e impero" (8), argomento di scottante attualità negli anni di composizione dell'opera.
Andrea Zorzi ritorna sul mito della libertà della repubblica fiorentina, un principio che ha condizionato a lungo l'interpretazione storiografica delle vicende politiche e istituzionali della città toscana. Ripercorrendo sinteticamente la storia del comune fiorentino fin dai suoi albori, Zorzi evidenzia la pluralità degli assetti istituzionali sperimentati, spesso in parallelo con il ricambio dei ceti dirigenti. In tale ottica le varie soluzioni politiche messe in atto, ad esempio la sperimentazione di un potere signorile al tempo di Roberto d'Angiò, devono essere riconsiderate con la consapevolezza dell'esistenza di una pluralità di possibili soluzioni istituzionali atte a garantire la governabilità. In base a tale principio, l'Autore propone anche una riconsiderazione dei fattori che determinarono il successo politico dei Medici, i quali riuscirono a mantenere il governo della città attraverso un saldo controllo dei meccanismi elettorali e una fitta rete clientelare.
La Monarchia di Dante è oggetto delle riflessioni anche di Diego Quaglioni, che si sofferma sull'influenza che il trattato ha avuto nella formazione del linguaggio politico moderno. Questa influenza è dovuta secondo l'Autore alle traduzioni del trattato dantesco in età moderna, prima tra tutte quella ad opera di Marsilio Ficino, che di fatto hanno gettato le basi per la creazione di un nuovo vocabolario politico. Tali traduzioni, per quanto in passato ciriticate, hanno per Quaglioni il grande merito di aver fatto sopravvivere l'opera di Dante, consegnandola alla modernità; proprio in quanto essa contribuisce alla formazione del pensiero moderno, può a buon diritto essere considerata il "primo testo politico della modernità" (439). La Monarchia ha continuato ad influenzare il pensiero giuridico fino a tempi recenti, nonostante interpretazioni talvolte forzate del messaggio del suo autore. A tal proposito viene sottolineato il peso dell'opera dantesca nella formazione del pensiero costituzionalista di Hans Kelsen.
Enrico Fenzi offre una riflessione sulla carriera diplomatica di Francesco Petrarca, attraverso una lucida analisi del pensiero politico del letterato. Per Fenzi è necessario riconsiderare il reale peso che gli studi giuridici, sebbene interrotti, hanno avuto sulla formazione di Petrarca e sulla sua carriera diplomatica. Tale carriera lascia trasparire nelle sue prime fasi una visione politica ideale basata sul culto dell'antica Roma, visione che viene presto abbandonata a favore di un maggiore realismo politico. Viene così rivisto anche il significato dell'adesione di Petrarca al modello politico signorile visconteo. Fenzi ritiene, infatti, che tale adesione sia conseguenza di una profonda comprensione della situazione politica del tempo, da parte non tanto di un letterato quanto di un uomo dalla formazione giuridica che intende presentarsi come fiduciario del signore. Acquistano pertanto nuovo rilievo anche le lettere del poeta, troppo a lungo considerate alla stregua di "private esternazioni" (59) e non come il risultato dell'intensa attività diplomatica del loro autore a supporto dell'azione viscontea.
Il ruolo della cancelleria fiorentina come centro di elaborazione intellettuale e politica è oggetto del saggio di Paolo Viti, che propone un'analisi dell'operato dei cancellieri della repubblica da Coluccio Salutati fino a Poggio Bracciolini. La riscoperta di alcune opere di Cicerone stimola negli ultimi anni del Trecento una riflessione politica ispirata a temi quali libertà, giustizia e doveri del bonus civis. In tale contesto risulta chiaro per Viti il peso dell'attività di cancellieri e umanisti come il Salutati o il Bruni, che ricercano nei classici un modello per i nuovi assetti di potere che si stavano profilando a Firenze, in seguito alla frattura istituzionale dovuta all'affermazione del regime mediceo nel 1434. Tale spinta ideologica è largamente presente, secondo l'Autore, nelle opere di questa generazione di cancellieri che si trovano ad operare nelle prime fasi del cambiamento. Una libertà intellettuale evidente negli scritti di Salutati e Bruni ma destinata, tuttavia, a venir parzialmente meno con le successive generazioni di cancellieri.
Gian Carlo Garfagnini individua il filo conduttore che accomuna le esperienze politiche del cancelliere Bartolomeo Scala e di Savonarola. Nonostante la diversa formazione, infatti, in entrambi risulta centrale l'idea di bonum commune come base del vivere civile. Lo Scala costruisce la propria carriera grazie all'appoggio dei Medici, che videro in lui l'uomo adatto a supportare la politica culturale del regime da Cosimo in poi. Secondo Garfagnini, in un certo senso la carriera dello Scala fu funzionale al progetto mediceo di creare uno stato nuovo. In quest'ottica potrebbe apparire contraddittoria la sua presenza nel governo di Savonarola; contraddizione solo apparente, in quanto entrambi i personaggi ritengono che lo stato debba essere organizzato per permettere ad ogni cittadino di bene vivere. Per Garfagnini, lo Scala comprende la finalità profonda dell'azione politica di Savonarola, vale a dire quella di rifondare lo stato sulla base di un governo di popolo rivolto al bene comune. La sconfitta del frate è, quindi, la sconfitta di un progetto politico e di fede, la fine dell'illusione di un governo nel quale potessero trovare spazio tutte le componenti dello stato.
Giulio Ferroni invece si occupa del significato dei termini ambizione, riputazione, onore e gloria nel pensiero di Machiavelli in una prospettiva quasi da antropologia politica. In pratica viene considerato l'insieme di comportamenti e norme sociali che regolavano l'azione degli individui, ma anche delle identità collettive nella società moderna. Per Machiavelli l'ambizione delle singole componenti sociali può rappresentare il primo passo verso la gloria, se opportunamente incanalata da un sistema di leggi e contrappesi istituzionali. Egli ribadisce in questo senso la centralità del ruolo delle buone leggi nel controllo dei possibili risvolti negativi di tale aspirazione all'onore e alla gloria e in più occasioni, soprattutto nei Discorsi, si riferisce a esempi tratti dalla storia romana. La questione dell'ambizione e della gloria ritorna anche nel Principe, nel quale proprio la gloria appare come la base per la "costruzione dell'essere civile, risolvendo in positivo quella tendenza alla prevaricazione reciproca che è dato costitutivo della natura umana" (156).
Jean Claude Fournel e Jean Claude Zancarini nell'ultimo saggio del volume prendono in considerazione la questione della riforma degli ordini cittadini a Firenze nell'opera di Guicciardini. Nei difficili anni successivi alla cacciata dei Medici, la riflessione politica ruota attorno alla spinosa questione della mancanza di un ordinamento stabile a Firenze. Guicciardini ha ben chiaro che costruire un governo bene ordinato è la premessa necessaria per il mantenimento della libertà, perché "non basta avere introdotto uno stato libero [...] ma bisogna sia ordinato di sorte che si sentino e' frutti della libertà" (162); emerge da queste parole la consapevolezza che l'instabilità politica di Firenze è dovuta proprio alla mancanza di tale buon ordinamento. Gli autori passano pertanto in rassegna le varie soluzioni proposte da Guicciardini per la riforma istituzionale di Firenze, concentrandosi sulla delicata questione delle procedure elettorali. La nomina dei vari ufficiali e dei membri dei consigli cittadini risulta così essere il fulcro dello scontro politico di quegli anni, tra i sostenitori dell'elezione (più fave) da una parte e quelli del sorteggio (tratta) dall'altra. Come sottolineano Fournel e Zancarini, Guicciardini non si limita nelle sue opere a una disanima dei fatti ma propone delle vere e proprie idee di riforma, volte alla ricerca di una soluzione di compromesso tra le due opposte posizioni.
I saggi ricordati, dunque, ripercorrono l'evoluzione del pensiero politico in una fase cruciale della storia toscana e italiana, non di rado proponendo interpretazioni innovative di questioni tradizionalmente molto dibattute. Si avverte, tuttavia, la mancanza di un saggio introduttivo o conclusivo che avrebbe forse potuto offrire delle considerazioni d'insieme e rendere più organico e unitario il volume, ma la varietà delle questioni affrontate nei saggi restituisce in ogni caso un quadro esaustivo delle questioni politiche più dibattute nel periodo considerato. Periodo che risulta essere veramente un momento di elaborazione e di riflessione che getta le basi del pensiero politico moderno.
Tamara Graziotti