Rezension über:

Jean-Michel David / Frédéric Hurlet: L'auctoritas à Rome. Une notion constitutive de la culture politique (= Ausonius-Éditions - Scripta Antiqua; 136), Pessac: Ausonius Editions 2020, 422 S., ISBN 978-2-3561-3353-3, EUR 25,00
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Rezension von:
Manfredi Zanin
Università Ca' Foscari, Venezia
Redaktionelle Betreuung:
Matthias Haake
Empfohlene Zitierweise:
Manfredi Zanin: Rezension von: Jean-Michel David / Frédéric Hurlet: L'auctoritas à Rome. Une notion constitutive de la culture politique, Pessac: Ausonius Editions 2020, in: sehepunkte 22 (2022), Nr. 4 [15.04.2022], URL: https://www.sehepunkte.de
/2022/04/35760.html


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Jean-Michel David / Frédéric Hurlet: L'auctoritas à Rome

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Il volume pubblica gli atti di un convegno tenuto a Nanterre il 10-12 settembre 2018. L'introduzione instrada efficacemente la discussione e definisce l'oggetto d'indagine del volume: lo studio dell'auctoritas come espressione fondamentale e costitutiva della cultura politica romana, del tessuto sociale e dell'esercizio del potere in Roma antica. La ricchezza del volume impedisce di ripercorrere tutti i contributi in dettaglio: la selezione e le osservazioni a seguire rispecchiano inevitabilmente le sensibilità del recensore.

I testi sono divisi in cinque sezioni. I primi contributi discutono problemi fondamentali di terminologia e definizione. Étienne Famerie affronta la questione, che continua a fornire ampia materia di discussione alla ricerca storica, della traduzione e adattamento dei termini politici e istituzionali latini in greco, focalizzandosi ovviamente su auctoritas. Thibaud Lanfranchi indaga con perizia il valore di auctoritas. nel suo primo utilizzo attestato, ovvero nelle XII Tavole, come fondamento di situazioni giuridiche e fonte del diritto di possesso altrui. Nonostante il tema classico e invalso del suo contributo, in cui il pericolo dei refrains è sempre presente, Clément Bur conduce un'egregia analisi del rapporto fondamentale tra mos maiorum e auctoritas, puntando a illuminare direttamente gli ingranaggi interni della cultura politica romana; [1] la valutazione del rapporto tra il mos maiorum e i contrasti di natura 'ideologica' - tema delicato e controverso dello studio della politica repubblicana - meriterà però un supplemento di riflessione: se è vero che, rispetto ai secondi, il mos maiorum favoriva il ritorno al consensus e alla compattezza legittimante dell'aristocrazia senatoria, mi sembra nondimeno che esso andasse ben oltre a "un recueil de conseils rappelant le pragmatisme bien connu des Romains" (78), una definizione con cui si rischia di oscurare i profondi condizionamenti socio-culturali e i potenziali campi di conflitto che potevano sorgere con il trascorrere del tempo. [2] L'importante rapporto tra il savoir e l'auctoritas nel mondo romano è discusso con precisione da Philippe Le Doze, che sottolinea come il primo non godesse di un'auctoritas intrinseca, che poteva invece derivargli solo da risorse politiche, sociali e morali.

Nella seconda sezione l'attenzione ricade sul ruolo e sulla funzione politica dell'auctoritas, anche nel campo di fortissima interferenza e commistione tra il 'politico' e il 'religioso'. In quest'ottica, Yann Berthelet precisa le differenze tra l'auctoritas dei membri dei collegi sacerdotali romani - a vita e, come nel caso dei senatori, modalità primaria e fondamentale di esercizio della loro funzione - e quella dei magistrati - limitata e complementare rispetto alla loro potestas e imperium, anche se non eccederei nel ridimensionare l'auctoritas intrinseca alle magistrature (utile è un confronto con la trattazione di Martin Jehne nell'ultima sezione del volume). Françoise Van Haeperen indaga l'importanza dell'auctoritas derivante dagli auspici alla luce di due episodi cruciali dell'ascesa di Ottaviano: i sacrifici e le prese degli auspici compiuti nel 43 alla prima assunzione dell'imperium e successivamente per il primo consolato. Francisco Pina Polo si dedica invece all'utilizzo di auctoritas nell'opera superstite di Livio, dove essa è associata soprattutto al Senato, ai notabili e ai popoli stranieri, e ad alcune grandi figure di nobili romani (Scipione, Catone, Emilio Paolo). [3] A partire da un serrato confronto con le pagine di Mommsen sul tema, Karl-Joachim Hölkeskamp definisce il ruolo cruciale che le leges Publilia et Maenia e il plebiscitum Ovinium giocarono nel fondare, proprio all'insegna dell'auctoritas patrum, la centralità istituzionale e politica del Senato a noi familiare.

La terza sezione raccoglie i saggi che indagano più puntualmente contesti e strategie di attivazione ed esercizio dell'auctoritas. Jean-Michel David e Robinson Baudry aiutano a precisare la sua performatività e il suo legame indissolubile con l'ethos agonale e la dimensione concorrenziale della politica romana e a chiarire come l'auctoritas si esplicasse attraverso incarnazioni puntuali e varie di un più generale modello morale aristocratico, e come necessitasse di essere costantemente (ri)attualizzata e concretamente esercitata in situazioni governate da rapporti gerarchici e di potere. Charles Guérin volge la sua attenzione all'uso dell'argomento d'autorità in contesto giudiziario attraverso l'analisi della strategia oratoria della Pro Sulla, in cui Cicerone riuscì, attraverso un oculato, velato ma non meno efficace richiamo alla propria auctoritas, a convertire il suo ruolo da quello di patronus a quello di vero e proprio testis. Élizabeth Deniaux ripercorre l'epistolario ciceroniano, specie dei mesi successivi al Cesaricidio, in cui Cicerone esercitò la propria auctoritas a tutela della dignitas dei corrispondenti lontani da Roma; sembra tuttavia pericoloso affermare che quanto leggiamo attesti la 'superiorità' di Cicerone davanti al Senato (247): sarà più opportuno parlare della sua incontestabile 'importanza' politica.

La quarta sezione raccoglie gli studi di Julien Dubouloz, Dario Mantovani e Aldo Schiavone, attinenti al campo del diritto (ma già Lanfranchi aveva introdotto il tema). In particolare, Mantovani tesse, attraverso una raffinata e chirurgica esegesi dei testi antichi, una cristallina disamina della natura dell'auctoritas dei giuristi romani e dei richiami alla stessa. L'analisi è governata da una programmatica, saggia e salutare autonomia rispetto al fascino delle teorie e delle interpretazioni di matrice moderna e si segnala, dunque, per un approccio metodologico che lo rende esemplare al di là del suo campo diretto d'indagine: il testo non avrebbe sfigurato tra i contributi 'terminologici' e 'definitori' della prima sezione.

Nell'ultima sezione si trovano i saggi del già citato Jehne, di Giuseppe Zecchini e di Frédéric Hurlet: questi contributi offrono importanti riflessioni sulla fenomenologia e sugli sviluppi del valore politico, sociale e comunicativo dell'auctoritas a cavallo tra la Repubblica e il Principato, consentendo così di sondare le stratificate fondamenta e di precisare significato e valore dell'incisiva e densa formula scelta da Augusto - auctoritate omnibus praestiti -, che rappresenta uno dei centri gravitazionali delle riflessioni di questo volume. Chiudono l'opera le conclusioni dei curatori.

Il volume ha senz'altro raggiunto il suo scopo: tutti i contributi aiutano a descrivere, a precisare e a interpretare la sostanza politica, sociale e valoriale e le evoluzioni dell'auctoritas nella Roma antica, e costituiscono, sia nella loro prospettiva specifica che nel loro complesso, un nuovo punto di passaggio imprescindibile per le future indagini non solo sull'auctoritas, ma anche più in generale sulla cultura politica e sulla Weltanschauung romane.


Note:

[1] Le riflessioni di Bur, specie in rapporto al census e al regimen morum, erano state anticipate dall'importante saggio di G. Clemente, When the Senators Became 'The Best', in H. van der Blom et al. (eds.), Institutions and Ideology in Republican Rome. Speech, Audience and Decision, Cambridge 2018, 203-221, non ricordato.

[2] Esemplare mi sembra il dibattito del 171; cf. part. Liv. 42.47.1-9.

[3] Proprio per questa ragione avrebbe forse meritato qualche riflessione Liv. 35.23.4 (192): senatus ... quia non copiis modo sed etiam auctoritate opus erat ad tenendos sociorum animos, T. Quinctium et Cn. Octauium et Cn. Servilium et P. Villium legatos in Graeciam misit.

Manfredi Zanin