Thomas Witulski: Kaiserkult in Kleinasien. Die Entwicklung der kultisch-religiösen Kaiserverehrung in der römischen Provinz Asia von Augustus bis Antoninus Pius (= Novum Testamentum et Orbis Antiquus / Studien zur Umwelt des Neuen Testaments; Bd. 63), Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht 2007, 210 S., ISBN 978-3-525-53986-6, EUR 59,90
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Jason Moralee: "For Salvation's Sake". Provincial Loyalty, Personal Religion, and Epigraphic Production in the Roman and Late Antique Near East, London / New York: Routledge 2004
Tønnes Bekker-Nielsen: Urban Life and Local Politics in Roman Bithynia. The Small World of Dion Chrysostomos, Aarhus: Aarhus University Press 2008
Juan Manuel Cortés Copete / Fernando Lozano Gómez / Elena Muñiz Grijalvo (eds.): Ruling the Greek World. Approaches to the Roman Empire in the East, Stuttgart: Franz Steiner Verlag 2015
Questa monografia di Thomas Witulski costituisce la rielaborazione di alcuni capitoli della sua Habilitationsschrift dal titolo Hadrian oder Christus ? Untersuchungen zur Frage der Datierung der neutestamentlichen Johannesapokalypse, dalla quale è derivato anche un ulteriore e più ampio volume appena pubblicato da Witulski: Die Johannesoffenbarung und Kaiser Hadrian. Studien zur Datierung der neutestamentlichen Apokalypse, Göttingen 2007.
Il libro che qui si recensisce ha come obiettivo un'indagine sullo sviluppo storico del culto imperiale nella provincia d'Asia dall'età di Augusto a quella di Antonino Pio.
Il culto imperiale trovò nella provincia d'Asia una tra le sue manifestazioni più ricche e fortunate, se non la sua propria origine; in questa regione, infatti, nel 29 a.C. venne istituito il culto del vivente princeps nel mondo provinciale romano su iniziativa degli stessi Greci d'Asia attraverso la loro assemblea provinciale. [1] Cassio Dione (LI, 20, 6-7) afferma esplicitamente che in quell'anno Ottaviano permise ai Romani residenti in Asia di erigere nella città di Efeso un tempio dedicato a Roma e a Giulio Cesare; i Romani residenti in Bitinia avrebbero potuto costruire un analogo tempio nella città di Nicea. Ai Greci d'Asia e di Bitinia Ottaviano concesse invece di innalzare un tempio dedicato a sé e alla dea Roma nelle città di Pergamo e Nicomedia.
Tutto ciò è esaminato con attenzione da Witulski, ma l'autore non prende in considerazione alcun antecedente del culto imperiale né, soprattutto, tratta dell'esistenza in età repubblicana dell'assemblea provinciale d'Asia, l'organismo cui attribuire la richiesta dell'istituzione del culto. Le funzioni di tale struttura, nota come il koinòn del Greci d'Asia, consistevano in origine, per quanto è possibile ricostruire, nel culto della dea Roma e del Senato, nel celebrare i magistrati romani e istituire giochi dedicati a loro, nel decretare onori ai provinciali che avessero ben meritato. La storia del koinòn d'Asia è segnata da una serie di trasformazioni e attraversata da vicende in stretta relazione con la storia della provincia durante gli anni terribili delle guerre mitridatiche. [2] La struttura, nata con finalità forse piuttosto limitate, fu tuttavia in grado di manifestare potenzialità notevoli, riuscì a superare con successo prove e difficoltà. L'iniziativa del 29 a.C. di chiedere al vincitore il privilegio di onorarlo di un culto se non fu l'ultimo mutamento affrontato dal koinòn d'Asia fu senz'altro quello più significativo per la sua storia. Il koinòn affrontò una crisi profonda come quella del passaggio da un regime a un altro, dalla res publica al governo di uno solo, senza snaturare la propria essenza, mostrando in ciò una vitalità piuttosto fuori dal comune.
L'istituzione formale di un culto rivolto al signore di Roma giustificò l'esistenza dell'assemblea provinciale per almeno quattro secoli e costituì la ragione essenziale della sua presenza. Il culto imperiale rappresentò inoltre per le élites locali una grande possibilità di inserimento nell'amministrazione e nel governo imperiale, permise una capillare diffusione del consenso, costituì un freno per le tendenze centrifughe, anche di tipo religioso, convogliò ambizioni ed energie che avrebbero potuto rappresentare altrimenti un pericolo per l'unità dell'impero.
L'ambito cronologico prescelto si presta dunque a critiche sia nella sua parte iniziale sia in quella finale: i motivi per concludere la ricerca con il regno dell'imperatore Adriano (ad Antonino Pio è riservata una pagina e mezzo, 171-172) sembrano dettati più dalla natura della ricerca principale, dedicata, come si è visto, alla datazione dell'Apocalissi giovannea, che a ragioni interne all'oggetto della ricerca.
Il volume si articola in due parti, l'una dedicata a Die Kaiser der julisch-claudischen Dynastie (9-51), l'altra a Die Kaiser der flavischen Dynastie und die Adoptivkaiser (53-172), ma in effetti l'imperatore Adriano occupa lo spazio maggiore della seconda sezione (90-170) e se proprio a questo sovrano Witulski attribuisce singolari e rilevanti innovazioni nell'ambito del culto imperiale, mi pare che Witulski trascuri invece di considerare nel giusto valore il contributo dei provinciali nell'evoluzione del culto, il loro impegno e le loro richieste, e ignori la dinamica di scambio tra il koinòn d'Asia che offriva onori e devozione e l'imperatore che ascoltava, accettava, declinava, posponeva, concedeva benefici, sempre in atteggiamento di benevolo ascolto.
Non sono queste, però, le critiche principali che si possono muovere all'opera di Witulski. Le ricerche sul culto riservato agli imperatori romani non conoscono interruzioni degne di nota negli studi, come è naturale per un aspetto tanto importante della vita religiosa, sociale, politica, culturale, economica del mondo romano. La pretesa di indagare e scrivere su un soggetto tanto frequentato e che ha attirato l'attenzione dei migliori studiosi è resa legittima dall'aumento, davvero notevole, di documentazione relativa all'età ellenistica e romana proveniente dalla penisola anatolica e dal valore degli studi dedicati all'esegesi di tali fonti. È dunque indispensabile per chi intenda affrontare il tema del culto imperiale nella provincia d'Asia una notevole familiarità con una documentazione sterminata e per di più assai eterogenea, con i numerosi repertori e con studi che sovente sono di altissimo livello e di un indiscutibile valore ricostruttivo. Si tratta di una familiarità di faticosa e mai definitiva acquisizione e dunque è doveroso riservare una certa indulgenza nei confronti di chi si cimenta in tali indagini. Nel caso della ricerca di Witulski temo però che le lacune documentarie e bibliografiche siano davvero eccessive e tali da rendere difficile all'autore superare la genericità o evitare errori. Witulski ignora alcuni fondamentali studi o edizioni di B. Burrell [3], A. Chaniotis, R. Haesch, P. Herrmann, C. P. Jones [4], J.-L. Ferrary, L. Pernot, per ricordare qui in conclusione solo alcuni nomi di un elenco che potrebbe essere più lungo.
Note:
[1] Vd., per esempio, Domitilla Campanile: Ancora sul culto imperiale in Asia, in: MedAnt 4/2, 2001, 473-488; con la descrizione e schematizzazione degli eventi del 29 a.C. secondo uno specifico modello e una particolar cornice interpretativa.
[2] Vd. l'importante documento in Joyce Reynolds: Aphrodisias and Rome. London 1982, 26-32.
[3] Della quale è solamente citata come dissertazione non stampata la tesi di PhD discussa nel 1980, ora completamente rivista e aggiornata: Barbara Burrell: Neokoroi. Greek Cities and Roman Emperors, Leiden 2004.
[4] Per esempio, Christopher P. Jones: Imperial Letters at Ephesos, in: EA 33, 2001, 39-44, da citare a 25, nota 116.
Domitilla Campanile