Richard J.A. Talbert / Richard W. Unger (eds.): Cartography in Antiquity and the Middle Ages. Fresh Perspectives, New Methods (= Technology and Change in History; Vol. 10), Leiden / Boston: Brill 2008, xxi + 299 S., 14 plates, ISBN 978-90-04-16663-9, EUR 99,00
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Richard J. A. Talbert: Rome's World. The Peutinger Map Reconsidered, Cambridge: Cambridge University Press 2010
Il volume curato da Richard J.A. Talbert e Richard W. Unger raccoglie gli atti del Thirty-Fifth Medieval Workshop svoltosi nell'ottobre del 2005 presso la University of British Columbia, a Vancouver. L'incontro è stato organizzato allo scopo di riunire e mettere a confronto studiosi di cartografia antica e medioevale, per favorire lo scambio reciproco e alimentare la discussione sulle nuove tendenze, prospettive e metodologie. L'introduzione dei due curatori (1-7) sottolinea la spinta propulsiva data alle ricerche dalla pubblicazione del primo volume della History of Cartography, diretta da Brian Harley e David Woodward [1], che costituisce il costante riferimento metodologico e concettuale dei saggi accolti nel volume.
Si allaccia all'introduzione il saggio di Richard Talbert (9-27), che traccia un rapido profilo delle più recenti ricerche e pubblicazioni sulla cartografia antica. Egli affronta il tema della percezione dello spazio in epoca romana adottando un atteggiamento giustamente critico verso coloro che negano l'esistenza di una visione spaziale bidimensionale, l'uso di carte geografiche o persino la loro esistenza in epoca romana. Le ricerche condotte sulla Tabula Peutingeriana, infatti, inducono Talbert a riconsiderare la dimensione spaziale implicita nella carta e riscontrabile in altri documenti. [2]
Il principale problema riguardante lo studio della cartografia greca e romana è costituito dalla quasi totale assenza di documentazione diretta. Occorre operare delle ricostruzioni o seguire un percorso a ritroso assai complesso, dalle rappresentazioni medioevali ai loro perduti modelli romani, di cui il saggio di Patrick Gautier Dalché fornisce un ottimo esempio (29-66). Egli si sofferma sulla Tabula Peutingeriana e sulle mappaemundi medioevali, analizzandone il processo formativo, attuato tra III e VII secolo a partire da testi e modelli cartografici romani, senza dimenticare, tuttavia, che esse sono il risultato della cultura e dell'ideologia medioevali e che come tali vanno coerentemente contestualizzate.
L'unico documento antico discusso nel volume è la Forma Urbis Romae, il catasto monumentale della città risalente all'epoca severiana, di cui sono noti attualmente 1.194 frammenti. Jennifer Trimble attua il confronto tra questi e i frammenti riferibili a precedenti catasti di Roma e di altri centri dell'Italia centrale quali Ostia e Amelia (67-97). Le trasformazioni, il modo di operare, le scelte e l'uso dei segni convenzionali da parte di chi ha progettato e realizzato la Forma Urbis evidenziano la sua natura complessa di strumento della rappresentazione dello spazio pubblico e politico della città. Essa risponde, dunque, all'ideologia imperiale e alle esigenze di controllo della città e dei suoi abitanti da parte del principe.
Si occupano della Tabula Peutingeriana Tom Elliott, che presenta il progetto per l'edizione digitale della Tabula diretto dallo stesso Talbert (99-110), ed Emily Albu, che ripropone l'ipotesi dell'origine carolingia del documento e individua il luogo di produzione nel monastero benedettino di Reichenau (111-119). La studiosa si fonda sull'evidenza di una fase carolingia nella redazione della carta e sul rilievo dato ad alcuni toponimi locali. In realtà, lo stesso discorso si adatta a molti altri luoghi presenti nella Tabula e tale proposta viene criticamente accolta da Talbert e da Gautier Dalché. Quest'ultimo, anzi, sottolinea come una contestualizzazione in epoca carolingia renda difficile da spiegare il significato e le modalità di realizzazione della Tabula, che presuppongono l'esistenza di un modello e di riferimenti cartografici propriamente romani (47-50).
Yossef Rapoport ed Emilie Savage-Smith esaminano un documento di recente acquisizione (121-138), una mappa del mondo abitato conservata nella copia di un trattato arabo anonimo, il Libro di curiosità delle scienze e meraviglie per gli occhi, databile al periodo 1020-1050. La carta ha forma rettangolare, è orientata col sud in alto e presenta lungo il margine superiore una scala grafica, di cui è il più antico esempio noto nella cartografia islamica ed europea. I due studiosi ritengono che l'autore abbia utilizzato quale prototipo una carta basata sull'opera del geografo e matematico arabo al-Khwārazmī, a sua volta influenzato da Tolemeo.
Il rapporto tra tradizione cartografica antica e concezione cristiana dello spazio è studiato da Maja Kominko limitatamente alla localizzazione del Paradiso terrestre nella carta dell'ecumene che illustra la Topografia cristiana di Cosma Indicopleste ed in quella che compare in molte copie manoscritte del Commentario all'Apocalisse di Beato di Liebana (139-153). Nel primo caso, il modello rappresentativo dell'ecumene è ancora quello di matrice ellenistica, per quanto semplificato e inserito in una cornice cosmica cristiana, con il paradiso terrestre esterno al mondo abitato. Nella carta di Beato, invece, pur comparendo elementi classici, il paradiso ha assunto una collocazione interna all'ecumene e il modello religioso ha preso il sopravvento.
Il saggio di Benjamin Z. Kedar propone al lettore l'argomento insolito della cartografia ebraica ed in particolare la carta della Cananea contenuta nel Commentario sul Pentateuco scritto da Rashi (Rabbi Shlomo Yitzhaqi, vissuto in Francia tra il 1040 e il 1105), di cui rileva la forte familiarità con la cartografia cristiana coeva (155-168).
La relazione tra ideologia imperiale e rappresentazione del mondo è investigata da Natalia Lozovsky attraverso la disamina della tradizione panegiristica che caratterizza le corti carolingia, sassone e normanna (169-188). In essa è evidente la volontà dei sovrani di appropriarsi del modello ideologico romano come strumento retorico di propaganda, sottolineando la continuità col dominio di Roma. Di qui l'attenzione posta dai sovrani alla realizzazione di carte che uniscono elementi geografici ed etnografici antichi ad altri più recenti e che attestano l'esistenza di un pubblico in grado di coglierne il significato.
Lucy E.G. Dolkin (189-217) coglie la natura spaziale dei mosaici pavimentali di XII secolo della chiesa di S.Salvatore a Torino e della cattedrale di Asti. Vi sono rappresentati, rispettivamente, i remoti confini nordoccidentali dell'ecumene e le personificazioni dei quattro fiumi del paradiso. La matrice letteraria e iconografica antica appare filtrata da numerosi testi e mappaemundi medioevali, e inserita in un contesto simbolico cristiano nel quale gli angoli della terra e i fiumi del paradiso costituiscono i vertici e i bracci della croce divina.
Su un piano molto più generale, Evelyn Edison affronta il problema dalla classificazione tipologica delle carte medioevali (219-236), suggerendo di abbandonare una troppo rigida distinzione tra quelle schematiche, ricondotte a Isidoro di Siviglia, e quelle non schematiche presenti in alcuni manoscritti di Orosio.
Raymond Clemens si occupa del mercante e umanista fiorentino Gregorio Dati, vissuto tra il 1362 e il 1435, il cui scritto in versi e in lingua volgare, La Sfera, corredato di illustrazioni di carattere astronomico e geografico, ebbe una considerevole fortuna tra i contemporanei (237-256). Accanto a schemi riconducibili al modello T-O ed a quello delle carte a zone, vi sono rappresentate anche carte regionali che traggono spunto da portolani, dalle tavole di Tolemeo o dalle carte di Pietro Vesconte. L'opera di Dati è espressione degli interessi e della visione del mondo dell'autore e dell'intera comunità fiorentina, alla quale si rivolge con un intento educativo.
Nell'ultimo saggio, Camille Serchuk si sofferma sulla cartografia francese di XV secolo, analizzando la figura e il ruolo del cartografo e il suo rapporto con la committenza (257-276). Ne risulta un quadro composito, nel quale operano artisti appositamente reclutati, segretari ed estensori di atti notarili, remanieurs, professionisti e dilettanti dalle capacità diverse, la cui produzione cartografica è caratterizzata da mancanza di uniformità e da molteplicità di stili.
Una bibliografia complessiva (277-296), un indice (297-299) e quattordici tavole a colori concludono questo volume ricco di spunti interessanti e che esprime molto bene la varietà di approcci e percorsi che caratterizza attualmente gli studi sulla cartografia antica e medioevale.
Era questo uno degli scopi dei curatori e, tenendo fede ai temi presupposti dal sottotitolo, il volume costituisce indubbiamente un importante aggiornamento sulle ricerche degli ultimi vent'anni e illustra alcuni importanti casi di studio. Trattandosi di una collazione di saggi originariamente presentati ad un convegno, i contributi sono di livello qualitativo differente, i singoli indirizzi di ricerca vengono privilegiati rispetto al quadro unitario e vi è qualche lacuna, come quella di uno spazio dedicato alla cartografia greca. [3] La scelta di riunire la bibliografia alla fine del volume attenua i limiti dell'orientamento parziale che caratterizza alcuni saggi [4], ma che, nel complesso, non pregiudica affatto l'interesse di quest'opera per coloro che si occupano di cartografia, di geografia e, più in generale, della visione e rappresentazione del mondo nell'antichità e nel medioevo.
Annotazioni:
[1] B.J. Harvey / D. Woodward (eds.): The History of Cartography , vol. 1, Cartography in Prehistoric, Ancient, and Medieval Europe and the Mediterranean, Chicago, 1987.
[2] Alla documentazione antica menzionata da Talbert va aggiunto il frammento di un catasto bronzeo pubblicato da Giuliana Cavalieri Manasse: Un documento catastale dell'agro centuriato veronese, in: Athenaeum, 88 (2000), 5-48.
[3] Va ricordato, in proposito, Alfred Stückelberger / Gerd Graßhoff (eds.): Va ricordato, in proposito, Ptolemaios, Handbuch der Geographie. Einleitung, Text und Übersetzung, Index, Basel 2006.
[4] Spicca l'assenza, tra gli studi recenti, di ogni riferimento all'opera di Christian Jacob: L'empire des cartes. Approche théorique de la cartographie à travers l'histoire, Paris 1992.
Stefano Magnani