Andrea Giraudo (a cura di): Sermoni valdesi medievali. I e II domenica di Avvento, Torino: Claudiana 2016, 197 S., ISBN 978-88-6898-109-9, EUR 20,00
Buch im KVK suchen
Bitte geben Sie beim Zitieren dieser Rezension die exakte URL und das Datum Ihres Besuchs dieser Online-Adresse an.
Steven A. Epstein: The Talents of Jacopo da Varagine. A Genoese Mind in Medieval Europe, Ithaca / London: Cornell University Press 2016
Jean Longère (ed.): Iacobus de Vitriaco. Sermones vulgares uel ad status I, Turnhout: Brepols 2013
Francesco Salvestrini (a cura di): La memoria del chiostro. Studi di storia e cultura monastica in ricordo di Padre Pierdamiano Spotorno O.S.B., Florenz: Leo S. Olschki 2019
Questa edizione dei sermoni valdesi medievali riconducibili alle prime due domeniche di Avvento rappresenta una prima importante tappa di un articolato progetto di studi che ha come oggetto l'intera collezione sermocinale valdese. Si tratta di un lavoro che si pone come premessa auspicata e necessaria per gli studiosi, poiché da tempo è sentita l'esigenza di avere a disposizione un testo affidabile per quanto riguarda la predicazione valdese. In particolare, questa edizione è stata preparata con l'intento di fornire materiale di studio per i lavori del LVI Convegno di studi sulla Riforma e sui movimenti religiosi in Italia dal titolo Predicazione e repressione. Processi e letteratura religiosa, tenutosi a Torre Pellice nel 2016.
Si tratta di un'edizione molto agile, ma accurata, il cui scopo è proporre un testo affidabile agli studiosi, lasciando a fasi successive eventuali approfondimenti riguardanti il contesto storico o le questioni filologiche e linguistiche, ma l'introduzione dà doverosamente conto di tutte le informazioni necessarie per la comprensione delle modalità e delle peculiarità della tradizione manoscritta dei sermoni valdesi. Sono interessanti infatti le considerazioni iniziali dell'autore riguardo al censimento dei sermoni: allo stato attuale sarebbero 162 sermoni diversi, ma solo il lavoro filologico potrà dare un giudizio definitivo poiché le forme testuali che posso originarsi da un singolo sermone sono pressoché infinite, dipendendo dalla sensibilità e dagli scopi di ogni singolo copista (o del suo committente). Ad esempio, ed è un caso che si presenta non solo nella tradizione di questi sermoni valdesi, può darsi che due sermoni si ritrovino presentati come distinti in alcuni testimoni e invece uniti come un unico testo in altri, lasciando spazio ad infinite supposizioni su quale fosse la forma testuale originaria.
In totale, i sermoni sono traditi da undici testimoni del tardo XIV - inizio XV secolo, conservati oggi in quattro biblioteche (Dublino, Cambridge, Ginevra, Digione), i quali costituiscono un corpus piuttosto uniforme sia per quanto riguarda l'aspetto codicologico, sia per il loro contenuto, sia per la lingua utilizzata. È stata a questo riguardo avanzata l'ipotesi che si tratti di una sorta di archivio composto nella prospettiva dell'adesione (avvenuta nel 1532) alla Riforma, ma sono ovviamente necessarie conferme che potranno essere fornite solo dall'indagine storica sul dibattito che avrebbe appunto preceduto l'adesione dei Valdesi alla Riforma. Per il calendario liturgico, I sermoni sembrano potersi sovrapporre quasi totalmente con il lezionario romano in uso prima del Concilio di Trento. Notevole poi è la recente identificazione di Iacopo da Voragine come fonte di un buon numero di sermoni, benché l'autore domenicano non venga mai nominato esplicitamente.
Vengono qui editi, corredati di apparati critici e, cosa lodevolmente utile, eventualmente seguiti dal testo della fonte latina principale. La lingua (una varietà tardiva e periferica della lingua d'oc) che ripropone e per alcuni aspetti riconferma le definizioni che sono state date nel dibattito che ha riguardato la lingua valdese, che, come viene ricordato nell'introduzione, "costituisce a oggi l'unico criterio per identificare uno scritto come 'valdese'". Nel lavoro ecdotico viene dato un ruolo preminente al codice di Dublino, Trinity College Library 267, utilizzato sia come testimone sia per il calendario liturgico, sia per la forma linguistica, anche in ragione dei sermoni attestati, che sono in numero maggiore rispetto agli altri codici. Per quanto riguarda i criteri che hanno guidato l'edizione e lo scioglimento delle abbreviazioni, ne viene dato puntualmente conto nell'introduzione.
L'edizione prevede un'introduzione particolare per ognuna delle due domeniche, indicando per ognuno dei sermoni che seguono le caratteristiche ritenute salienti. Si tratta di precisazioni estremamente interessanti per gli studiosi, a partire dalla puntuale indicazione delle attestazioni esistenti (che siano esse plurime o che il sermone sia attestato in un singolo testimone) e la definizione dell'eventuale ipotesto (ovvero la fonte), e il rapporto del testo volgarizzato con esso, in altre parole se si tratta di una traduzione completa o parziale.
Per quanto riguarda gli apparati, questi danno conto in genere delle varianti sostanziali e degli errori e, in una seconda fascia, delle varianti formali (accompagnate da osservazioni paleografiche). In alcune occasioni invece l'editore ha aggiunto una terza fascia, dedicato alle difformità di un certo peso, ma non tali da giustificare un'edizione sinottica.
Per quanto riguarda il contenuto, i cinque sermoni della prima domenica d'Avvento sono accomunati dal tema del Giudizio Finale, trattando i primi due dell'opportunità di condurre una vita virtuosa, vigilando, mentre gli altri tre affrontano più specificatamente le fasi del Giudizio universale vero e proprio. A questo proposito è assai notevole che l'ipotesto corrispondente (la fonte latina) consista nei tre sermoni della II domenica d'Avvento dei Sermones de Tempore di Iacopo de Voragine: in particolare, il raffronto testuale ha permesso di identificare una lezione che porrebbe in relazione il testo del sermone valdese con un ramo della tradizione dei De tempore che comprende codici di origine italiana. [1] È inoltre interessante il fatto che l'autore dei sermoni valdesi non abbia tradotto acriticamente la sua fonte, ma abbia omesso, ad esempio, la parte dedicata al purgatorio nel testo dell'ultimo sermone della II domenica d'Avvento di Iacopo da Voragine, che tra l'altro affrontava la spinosa questione del destino dei mediocri il giorno del Giudizio, allorquando il Purgatorio, secondo il predicatore domenicano, non esisterà più.
Anche i sermoni valdesi sulla seconda domenica di Avvento dipendono, sia pure con l'eccezione del primo e in modo disuguale per gli altri, dalla raccolta De tempore di Iacopo. Così come quelli della prima domenica avevano come fonte i tre della seconda domenica, quelli valdesi della seconda domenica hanno come fonte i sermoni di Iacopo relativi alla terza. Come l'editore annota opportunamente, i tre sermoni valdesi [2, 3 e 4 relativi alla II domenica] che più dipendono dall'ipotesto latino sembrano essere il nucleo principale dei sermoni a commento della pericope di Mt. 11, 2-10, mentre gli ultimi due (5 e 6) ne costituiscono una sorta di ampliamento, essendo il sermone 5 una sorta di postilla del sermone 2, mentre il sermone 6 ha il carattere di miscellanea che riprende elementi sia dal sermone 2 che dal 3. I temi di questi sermoni, ovvero la predicazione e la figura del predicatore, che deve essere esemplare, rimane comunque omogeneo anche rispetto al sermone 1, che oltre a un tema peculiare della predicazione valdese, ovvero la necessità dell'apprendimento diretto del testo della Scrittura propone anche la necessità che il predicatore si offra come esempio anche attraverso le sue opere. Il primo sermone, che fa riferimento ai temi di un sermone che dovrebbe immediatamente precedere, ma che non corrisponde a quello realmente presente nel codice, può fornire lo spunto per interessanti considerazioni su come questi sermoni sono stati composti e assemblati insieme.
Nella sua agilità l'edizione pone dunque numerose questioni sia metodologiche in generale sui problemi ecdotici che si devono affrontare nell'edizione di sermoni, e in particolar modo di sermoni volgari, sia particolari, come la sorprendente dipendenza di questi sermoni dall'opera di uno dei Frati Predicatori del XIII secolo. Non si può che auspicare che il proseguo del lavoro, per quanto arduo e lungo da compiersi, sia ugualmente fecondo, così come i lavori del Convegno che hanno fornito l'occasione per questa edizione.
Nota:
[1] La tradizione dei De tempore è stata preliminarmente studiata da Patrizia Stoppacci in Medieval Sermon Studies 57 (2013), 49-76.
Giovanni Paolo Maggioni