Rezension über:

Emily Kelley / Cynthia Turner Camp (eds.): Saints as Intercessors between the Wealthy and the Divine. Art and Hagiography among the Medieval Merchant Classes (= Sanctity in Global Perspective), London / New York: Routledge 2019, XII + 299 S., 20 Farb-, 2 s/w-Abb., ISBN 978-0-8153-9980-3, GBP 115,00
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Rezension von:
Giovanni Paolo Maggioni
Facoltà di scienze umane e sociali, Università degli studi del Molise
Redaktionelle Betreuung:
Ralf Lützelschwab
Empfohlene Zitierweise:
Giovanni Paolo Maggioni: Rezension von: Emily Kelley / Cynthia Turner Camp (eds.): Saints as Intercessors between the Wealthy and the Divine. Art and Hagiography among the Medieval Merchant Classes, London / New York: Routledge 2019, in: sehepunkte 20 (2020), Nr. 7/8 [15.07.2020], URL: https://www.sehepunkte.de
/2020/07/33198.html


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Emily Kelley / Cynthia Turner Camp (eds.): Saints as Intercessors between the Wealthy and the Divine

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Il volume, organizzato dalla storica dell'arte Emily Kelley e dalla studiosa di letteratura agiografica inglese medievale Cynthia Turner Camp, affronta fruttuosamente il problema del complesso rapporto tra mercatura e culto dei santi negli ultimi secoli del Medio Evo. La prospettiva del volume è molteplice, articolandosi secondo tre grandi tematiche riguardanti la vita mercantile e le relazioni con la devozione religiosa: le situazioni di pericolo, i rapporti con la comunità e la commistione tra commercio, cultura e spiritualità che congiungeva gli interessi mercantili con la venerazione verso i santi. L'ambito cronologico coincide con la grande crescita commerciale in Europa, a partire dai secoli XII e XIII, in cui gli orizzonti geografici si allargarono alle nuove tecniche, fino ai secoli XV e XVI, quando i mercanti ormai si erano da lungo tempo ben integrati ai vertici della società urbana.

Le direttrici principali del volume sono tre: la prima considera i santi a cui i mercanti erano devoti e a quale tipologia appartenevano. La seconda come i singoli mercanti esprimevano la loro pietà nei diversi contesti locali (Catalogna, Burgos, Troyes, Norwich). La terza analizza le pratiche religiose delle corporazioni mercantili, prendendo in considerazione Londra, Tallin e Venezia. Chiude un articolo che tira le fila considerando le forme di intercessione dei santi e le richieste dei mercanti trattate nel volume con i comportamenti dei mercanti in Italia settentrionale nel XIII e XIV secolo.

La difficile coesistenza tra attività commerciale e salvezza dell'anima è saldamente attestata nella letteratura agiografica. Fino al basso medioevo si era visto con sospetto chi ricavava vantaggi rivendendo a più ciò che aveva acquistato a meno, anziché donare generosamente e cortesemente. I mercanti dunque hanno dovuto fare a lungo i conti non solo con una certa diffidenza sociale, accresciuta dal fatto che la loro condizione li portava talvolta a viaggiare da stranieri in luoghi stranieri, ma anche con una necessità di purificare il proprio guadagno, anche se giusto, assolvendolo con elemosine e donazioni. Un segnale di questa condizione contraddittoria, anche per vite consapevolmente vissute nei binari di una pratica cristiana universalmente riconosciuta, è data dal fatto che a lungo i mercanti non hanno avuto un patrono a loro proprio e solo molto tardi hanno avuto Francesco d'Assisi che a dire il vero aveva rinnegato la propria famiglia e il padre mercante e le vanità di quella condizione. Altrimenti valevano santi patroni la cui potenza era universalmente conosciuta - come san Nicola ad esempio - o localmente diffusa - come san Cutberto per il nord europa, nelle rotte tra Fiandre, Inghilterra e Norvegia, e i cui exempla riguardavano anche viaggiatori per mare, come mostra in questo volume Christiania Whitehead ("Cuthebertine hermits and North Sea merchant traders"). Altrimenti, in caso di necessità, ci si doveva rivolgere ai protettori della merce, come sant'Antonio per i maiali, o ai patroni per i viaggiatori o a quelli propri particolari, non legati alla condizione di mercante.

Ciononostante, non solo per la loro condizione di viaggiatori, ma proprio per il loro mettere sistematicamente a rischio la loro vita e i loro averi, i mercanti incontravano numerose occasioni in cui raccomandarsi alla protezione divina per proteggere loro stessi, la loro reputazione - essenziale per il loro lavoro -, la loro famiglia e anche, non ultimo, le loro anime. Come mostra Janine Larmon Peterson ("The service of merchants: Politics, wealth, and intercessional devotion in the later medieval Italy"), i mercanti stabilivano queste relazioni con i loro patroni investendo i ricavi del loro commercio in preghiere, pellegrinaggi e, più visibilmente per la colletività, organizzando gilde e finanziando le arti. Naturalmente non si pregava solo per la salvezza della propria anima, ma anche per quella delle proprie merci e dei propri interessi, come viene ben esemplificato per la Barcellona medievale da Montserrat Barniol López ("Spaces and times for worship: Merchant devotion to the saints in the late medieval Barcelona") e a questo proposito Karen Rose Mathews ("Reanimating the power of the holy protectors: Merchants and their saints in the visual culture of medieval and early modern Venice") mostra come i mercanti si rivolgessero a intercessori la fama della cui virtù era ben consolidata in campo marittimo o militare (come Giorgio), invece che a santi a loro affini come sant'Omobono, che rimaneva solo un modello imitabile, piuttosto che un patrono che poteva soccorrere con la sua intercessione. In ogni caso non si può non notare che se un mercante diveniva santo, era perché aveva annullato quelle doti che facevano di un mercante un buon mercante ma un pessimo santo, come il ricercare il massimo profitto possibile. San Nicola sembra essere uno dei santi il cui culto era maggiormente diffuso tra i mercanti e questo era dovuto sia alla vasta fama di cui godeva la sua virtus, sia dal vasto repertorio esemplare che lo riguardava, che andava sia dall'uso appropriato e caritatevole delle ricchezze, sia da un certo numero di salvataggi in mare e nelle terre d'oltremare.

Dal tredicesimo al quindicesimo secolo è facilmente riconoscibile una tendenza progressiva di acquisizione da parte dei mercanti e delle loro gilde di una sorta di potere collettivo nel contesto sociale cittadino, come mostrano gli studi di Gary G. Gibbs ("London's goldsmiths and the cult of St. Dunstan, ca. 1430-1530"). In parallelo ai cambiamenti sociali in atto, mutavano anche le forme della devozione religiosa, contraddistinte da un grande fervore laicale, sostenuto dalla predicazione degli ordini mendicanti.

Sul territorio, la devozione dei mercanti si esercitava nel contesto delle parrocchie e delle confraternite. I mercanti potevano acquisire meriti e reputazione attraverso partecipando alla costruzione, all'abbellimento e alla dotazione artistica di chiese, partecipando individualmente alla diffusione delle arti, con donazioni e patrocini, un atteggiamento qui approfondito tra l'altro da Emily Kelley ("For the hope of salvation and the honor of the family: Merchant devotional concerns in early sixteenth-century Burgos"). Oltre alla contribuzione individuale le confraternite religiose, dedicate a un santo o a un particolare evento della storia della salvezza, permettevano un'efficace azione sociale e collettiva nella comunità cittadina e a questo riguardo lo studio di Lehti Mairike Keelmann ("Success, salvation, and servitude: Tallin's Brotherhood of the Black Heads and its relationship with local and regional saint cults") mostra esemplarmente il caso di Tallin. Il contesto era dunque variegato. Le confraternite commissionavano opere d'arte partecipando alla vita della comunità parrocchiale e immettendovi i capitali e le esperienze culturali acquisite viaggiando, con commissioni collettive che emulavano la nobiltà nel patronato delle arti, non limitandosi alle opere pittoriche e gli arredi ecclesiastici, ma riguardavano anche, per singoli mercanti o le loro famiglie, i libri. Saper leggere e scrivere (oltre che naturalmente far di conto) faceva parte del bagaglio ineludibile di ogni mercante e nel ceto mercantile a partire dal XIV secolo non solo si assiste alla fondazione di scuole, ma anche alla crescita del numero di lettori e di fruitori del libro, che poteva divenire, come nel caso dei libri d'ore, un pregevolissimo e costosissimo oggetto d'arte. D'altronde alcuni testi agiografici si indirizzano alle classi mercantili, che talvolta vengono citati esplicitamente nel testo come destinatari così come possono esserne i committenti, come tra l'altro mostra lo studio di Jennifer Courts ("For salvation or reputation?: The representation of saints in a Jouvenel des Ursins book of hours") ed è noto il caso di William Caxton, mercante, autore, traduttore ed interprete di testi, talvolta agiografici, come la Legenda aurea. Questa stretta correlazione tra mercanti e la letteratura agiografica viene affrontata nel volume da Elizabeth A. Andersen ("Birgitta of Sweden and the merchant class of Lübeck"), Joni Henry ("The Fisher Miscellany: Reconstructing a late medieval merchant family's book and its fashionable hagiography") e Cynthia Turner Camp ("The Sunday saint: Keeping a holy 'merchant time' in the Middle English Life of Erasmus"), la quale mostra come l'ideale di virtù applicata alla vita mercantile potesse influenzare le stesse leggende, come nel caso di sant'Erasmo.

Giovanni Paolo Maggioni