Walter Scheidel: Escape from Rome. The Failure of Empire and the Road to Prosperity (= The Princeton Economic History of the Western World), Princeton / Oxford: Princeton University Press 2019, XVIII + 670 S., 29 s/w-Abb., 5 Tbl., 36 Kt., ISBN 978-0-691-17218-7, GBP 30,00
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Questo libro di Walter Scheidel appartiene a quel genere di saggi che si prestano bene ad essere oggetto di presentazione sulle pagine culturali o sui supplementi dei quotidiani ma che risultano più difficili da discutere in una rivista specialistica. La ragione fondamentale è che non si tratta, a rigore, né di una monografia di storia e neppure di economia (politica). La si potrebbe, forse classificare, anche con riferimento all'ambizione dell'Autore di affrontare "very big questions", come una riflessione di filosofia della storia, una categoria sempre delicata che richiede di essere declinata con prudenza. Siamo comunque in un ambito almeno latamente politologico.
Scheidel si è dedicato in una serie di pubblicazioni al confronto tra Impero romano e cinese, un tema che ritorna di frequente in pagine significative anche in questo libro. Vero è che in un presente così fluido, e così in costante ridefinizione, è difficile fare valutazioni retrospettive che possano avere implicazioni plausibili per il futuro come quelle che fa Scheidel nel suo libro ove, manca, ovviamente, qualsiasi riferimento ai possibili esiti su scala mondiale di una pandemia come quella di Covid 19, manifestatasi all'inizio del 2020.
Egli suggerisce o, forse sarebbe meglio dire, dà per scontato come molti altri pensatori dei nostri giorni, che deve essere considerato superato il presupposto, che è stato valido per secoli, vale a dire che l'Impero romano è stato l'unico impero o, quanto meno l'unico modello d'Impero per la maggior parte degli Europei. Essere un impero voleva dire essere come Roma. Era inevitabile, per fare un esempio, che l'Impero britannico così come l'esperienza britannica in generale fossero paragonate a Roma e all'Impero romano, Per gli Inglesi che avevano creato il più grande impero dei tempi moderni certo nessun paragone poteva essere più appropriato.
Scheidel, con lo spirito gagliardamente dissacratore che gli è caratteristico, rovescia, si direbbe, questa prospettiva storiografica di "lunga durata". Semplificando, la sua tesi - che si potrebbe considerare speculare a quella svolta da Aldo Schiavone nel suo La storia spezzata: Roma antica e Occidente moderno (Roma- Bari 1996) - è che la fine dell'Impero romano è stata la premessa decisiva cha ha propiziato la crescita economica europea e lo sviluppo della modernità.
Conviene osservare come si tratti di una interpretazione che si distingue anche da quella, che si può attribuire fondamentalmente a Peter Brown e che è stata in genere condivisa dalla storiografia nordamericana, che ha portato a una dilatazione cronologica della Tarda Antichità in cui si è di fatto dissolto il pregiudizio negativo sulla fine del mondo antico. [1]
Anche con Escape from Rome ci muoviamo nella prospettiva di "world history", oltre che di lungo periodo, che è caratteristica degli ultimi libri di Scheidel. Quello immediatamente precedente, The Great Leveler: Violence and the History of Inequality from the Stone Age to the Twenty-First Century, Princeton 2017, ripercorreva quasi dodicimila anni di storia per scoprire quali fattori e fenomeni riescono a restringere le disuguaglianze economiche delle società umane. Scheidel non ha fatto in tempo a vedere l'ultimo libro dell'economista "visionario" francese Thomas Piketty, Capital et idéologie (Paris, 2019) In questo, con un approccio a sua volta globale, Piketty riflette sulla giustificazione sociale delle disuguaglianze, che si stanno facendo sempre più drammatiche. chiedendosi se sia possibile superare la visione sacrale del diritto di proprietà e immaginare altri assetti per il futuro.
Scheidel ama le definizioni perentorie. Colpisce, ad esempio, all'interno di una riflessione sulle ragioni della rivoluzione industriale, un enunciato come questo (345): "Overall, however, material residue did not count for much. Institution were decisive, in terms of both their survival and, especially, their disappearance". In realtà quello che colpisce nel suo libro è una forma di teleologismo che ha la sua base di partenza in The first great divergence, un concetto ormai molto in voga, al punto da meritare una voce specifica in wikipedia, nelle ricostruzioni politologiche. Esso si deve, fondamentalmente, al saggio The great Divergence di K. Pomeranz (Princeton 2000). La prima "great divergence" sarebbe il risultato del crescente distanziamento realizzatosi tra l'esperienza europea dopo la caduta di Roma e quella della Cina e di altre parti del vecchio ordine mondiale.
Alla fin fine, l'esito di un discorso di questo genere è di un'evoluzione della realtà storica fondamentalmente lineare. Ma come si può inquadrare rispetto a questa ad esempio il peculiare sviluppo del mondo islamico? Il successo delle conquiste musulmane è giudicato, di solito, come l'esito di una serie di circostanze uniche e della predicazione di una nuova, semplice fede monoteistica. [2] E, d'altro canto, come si spiega la "scandalosa verità" per cui la filosofia arabo-islamica conosce, dopo un brillante progresso, una rapida conclusione? [3] Già nel XII secolo si assiste, infatti, alla brusca conclusione dello sviluppo della filosofia arabo-islamica, un evento fatale per lo sviluppo dell'Islam.
Scheidel non si sottrae, peraltro, a discutere un tema che può suggerire chiavi di lettura diverse dalle sue, vale a dire quello ambientale (cap. 8: Nature). Egli conosce le implicazioni di ascendenza deterministica che un discorso come il suo può avere. A partire da un certo momento in poi, la vicenda di Roma, lungi dall'essere un incidente della storia, sembra essere stata condizionata da fattori geografici e climatici non meno che istituzionali. L'area economica che fa capo al Mediterraneo sarebbe stata infatti favorita da condizioni climatiche straordinariamente favorevoli secondo K. Harper, The Fate of Rome: Climate, Disease and the End of an Empire, (Princeton 2017). La conclusione di Scheidel è che la prima grande divergenza fu "a robust and casually overdetermined outcome" (Conlusion: chapter 9, 330). Quanto alla "seconda grande divergenza", la rivoluzione industriale, essa è per Scheidel l'esito inequivocabile del policentrismo europeo, originato appunto dell'escape from Rome, che costituisce l'argomento dell'ultima parte del libro: "From the first to the second great divergence". [4]
In realtà, come lo stesso Scheidel riconosce (370-377), tra Settecento e Ottocento, la pluralità degli stati è compensata da stili di governo vieppiù assolutistici sviluppatisi a spese delle élite nazionali.
In conclusione dalla lettura di questo libro è inevitabile porsi un interrogativo: la forma dello Stato-nazione è ormai quella destinata a caratterizzare il prossimo futuro? La dissoluzione dell'ultimo grande Impero, quello sovietico, ha indubbiamente suggerito una prospettiva di questo genere con l'emersione di una cinquantina di successor-states. [5]
Note:
[1] Scheidel di fatto non considera l'originale prospettiva di G. Fowden avanzata nel suo Before and after Muhammad: the first Millenium Refocused, Princeton 2015.
[2] H. Kennedy: The great Arab conquests: How the spread of Islam changed the world we live in, Philadelphia 2007.
[3] H. Küng: Der Islam: Geschichte, Gegenwart, Zukunft, München 2004.
[4] Per una prospettiva in parte diversa si veda K. Timur: The Long Divergence: How Islamic Law Held Back the Middle East, Princeton 2011.
[5] Cf. K. Timur: Visions of Empire. How five Imperial Regimes shaped the World, Princeton 2011, 14.
Arnaldo Marcone