Jacqueline Arthur-Montagne / Scott J. DiGiulio / Inger N.I. Kuin (eds.): Documentality. New approaches to written documents in imperial life and literature (= Trends in Classics - Supplementary Volumes; Vol. 132), Berlin: De Gruyter 2022, 290 S., 2 Farb-, 8 s/w-Abb., ISBN 978-3-11-079177-8, EUR 124,95
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Tamara M. Dijkstra / Inger N.I. Kuin / Muriel Moser et. al. (eds.): Strategies of Remembering in Greece under Rome (100 BC - 100 AD), Leiden: Sidestone Press 2017
Inger N.I. Kuin / Jacqueline Klooster (eds.): After the Crisis. Remembrance, Re-anchoring and Recovery in Ancient Greece and Rome, London: Bloomsbury 2020
Il volume curato da J. Arthur-Montagne, S. DiGiulio e I. Kuin raccoglie alcuni degli interventi presentati durante un convegno tenutosi presso il France-Stanford Center nell'autunno del 2016. Pochi anni prima era stato pubblicato il saggio del filosofo teoretico Maurizio Ferraris che aveva lo stesso titolo, [1] la cui tesi di fondo è che il documento, inteso in una pluralità di forme, fisiche, digitali, mentali, vada inteso come un oggetto sociale e svolga un ruolo centrale da un punto di vista ontologico per plasmare la società. La coincidenza nominale (7: the collaborative initiative [...] had already adopted the name "Documentality" as its working title before encountering the scholarship of Ferraris) non si è rivelata particolarmente felice, dal momento che ha spinto la maggior parte degli autori a confrontarsi con alcune delle affermazioni di Ferraris senza tuttavia che si instaurasse un dialogo epistemologicamente produttivo. Da una parte (MF) si svolge un'analisi sul valore ontologico del documento, dall'altra (il presente volume) si indaga piuttosto come il documento veniva percepito, attraverso testimonianze letterarie o documentarie. In questo senso non è un caso che, all'interno di una serie di contributi ordinati e ben scritti, uno tra i più convincenti sia quello di J.-L. Fournet in cui gli studi di Ferraris non vengono mai citati. Se si volesse definire la prospettiva seguita negli studi che compongono la raccolta recensita si penserebbe alla classica riflessione sulle diverse tipologie di fonti e la conseguente definizione di documento nel solco ad esempio della tradizione tedesca, ovvero a studi di critica letteraria, un approccio palese ad esempio nello studio di K. ní Mheallaigh sulla Vera Historia di Luciano.
Fatta questa premessa generale che ha un peso sul valore euristico della raccolta nel suo complesso, si può affrontare una disamina dei contenuti specifici. Il volume si articola in tre sezioni da tre contributi ciascuna e si conclude con le riflessioni di M. Corbier che, con grande mestiere ed esperienza, presenta le varie vite di un documento, vale a dire il ruolo diverso che lo stesso documento può assumere a seconda di chi e quando lo interroghi, un tema importante per gli storici, non solo del mondo antico.
Nella prima sezione (Approaches to Ancient Documentality) ci si concentra su tipologie classiche di documenti. Nel primo studio, quello di J. Bodel, l'analisi viene svolta da una prospettiva giuridico-sociale (esiste un rapporto gerarchico in termini di autorevolezza tra documento scritto e testimonianze orale? La risposta, apparentemente positiva, tocca un ambito molto specifico governato da regole particolari). In quello seguente intervengono invece le fonti di ambito papirologico come gli ostraca/tavolette e papiri con esercizi di scuola analizzati da J. Arthur-Montagne, che sottolinea l'importanza del ripetuto esercizio scrittorio per arricchire la biblioteca della mente, svolgendo eleganti riflessioni a tal proposito, di cui tuttavia si fatica a rintracciare l'originalità. L'ultimo articolo in questo gruppo, opera di K. ní Mheallaigh, verte sui documenti nelle fonti letterarie e in particolare nella Vera Historia di Luciano. Il problema di fondo è ben noto, vale a dire quanto possiamo ricavare da una fonte dichiaratamente satirica in termini di dati reali, una questione che a mio avviso è analoga a quella che si pone ad esempio nell'utilizzo di Aristofane come fonte storica e a cui risponderei che le satire o le commedie per funzionare devono stravolgere dei contenuti familiari e facilmente comprensibili per chi ascolta, o legge. In un'ottica critico-letteraria, le osservazioni che presenta l'autrice sono interessanti, in particolare la discussione sul valore delle pietre preziose (97 s.), anche se talvolta si ha l'impressione che la prospettiva letteraria porti chi scrive a modificare il dato reale, come nel caso dei trattati che, sul modello di quello tra Solari e Lunari, sarebbero stati in antichità normalmente collocati ("standard location") ai confini tra poleis (95), una pratica per cui si fatica a trovare esempi, dato che di solito questi documenti venivano posti nelle città interessate ed eventualmente in luoghi terzi, di grande rilevanza, soprattutto sacrale. [2]
La seconda sezione (Documentary Communities and Landscapes) si apre con un articolo di I. Kuin che si riallaccia tematicamente al corpus lucianeo. L'autrice si concentra in modo particolare su quello che possiamo ricavare dalle opere di Luciano a proposito della fruizione delle scritture esposte in una società in buona parte analfabeta. La conclusione, forse non sorprendente, è che il saper leggere costituisca un vantaggio. Le difficoltà dell'applicazione del concetto di documentality agli studi sul mondo antico (e direi storici tout court) viene affrontata nello studio di P. Schneider sui geografi, in cui dopo aver discusso le fonti che i geografi usavano e aver spiegato cosa erano i documenti per gli Antichi, l'autore conclude che il concetto di documentality non è applicabile alla geografia antica dal momento che i geografi non consideravano le proprie fonti documenti ed erano piuttosto interessati all'autorevolezza della fonte, in termini di "verità e affidabilità" (149). [3] S. Kamphorst si concentra invece su documenti in senso stretto, in particolare le iscrizioni attestanti relazioni tra poleis. Partendo dalla condivisibile constatazione che un decreto è un atto la cui esposizione pubblica, rimandando alla decisione presa dall'assemblea o dal consiglio, rafforza il senso di comunità, l'autrice considera i casi in cui il decreto nasca da relazioni interstatali, come nel caso dei giudici stranieri, in cui veniva spesso chiesto alla comunità che li aveva inviati di far iscrivere il decreto in loro onore. Traslando sul piano interpoleico quanto era stato affermato per quello intrapoleico, Kamphorst considera che i decreti sopra descritti "strengthened the sense of community by creating common knowledge within and between poleis about the relationships between them" e attribuisce la rarefazione di tali documenti in età imperiale al mutato quadro di riferimento politico romano-centrico, una spiegazione plausibile. [4]
La terza sezione (Between Documents and Literature) si apre con uno studio di S. DiGiulio a proposito delle Noctes Atticae di Aulo Gellio di cui si descrivono gli scopi nella citazione di testi letterari, quali epistole, e documenti iscritti, un genere di cui Gellio fa raramente uso. La conclusione cui giunge DiGiulio è che a fronte di uno scopo coerente, un'analisi di tipo piuttosto filologico, l'autore antico non pone un discrimine ontologico tra le diverse categorie di testi che menziona: testi letterari e documentari hanno la stessa autorevolezza quando si parla di aspetti linguistici. Lo studio successivo, opera di J.-L. Fournet, è una convincente discussione del genere della petizione in età tardoantica, attraverso i contesti in cui è inserita. L'autore giunge così a mostrare la fluidità dei confini tra reificazioni differenti della stessa tipologia testuale (discutendo inoltre la differenza, a volte labile, tra lettera e petizione): le petizioni ci sono giunte in forme diverse, siano esse l'originale documento su papiro, siano il suo inserimento in opere letterarie. Un ulteriore passaggio è costituito dai falsi, un genere sempre rivelatore, e di cui l'autore discute alcuni casi quali la spuria petizione, probabilmente all'origine in una patriografia, penetrata nella Chronographia di Giovanni Malala. La terza sezione si conclude con il lucido saggio di Y. Amory su un aspetto talvolta meno considerato dell'epistolografia antica, vale a dire il ruolo performativo svolto da chi portava la lettera e poteva essere incaricato di recitarla ovvero di fornire informazioni ulteriori. Riflettendo in particolare all'ambito diplomatico, si può forse aggiungere che pur nella giusta considerazione attribuita alla parte orale, doveva essere necessario un qualche documento che garantisse che il messaggero era fededegno. [5]
L'attenzione ai documenti e alle diverse tipologie di fonti e una loro valutazione in termini di storia sociale sono senz'altro aspetti positivi di questo volume e dei saggi che lo compongono, in genere argomentati e chiari, l'applicazione del concetto di Documentalità agli studi storici, nello specifico quelli sul mondo antico, così come elaborato in area filosofica, mi pare invece meno fruttuoso.
Note:
[1] Ed. it. Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, Roma / Bari 2009; ed. ing. New York 2012.
[2] Ad esempio il tempio di Zeus a Olimpia, come il trattato tra Etoli e Acarnani del 262? a.C. da esporre ad Azio, a Thermos e inoltre a Olimpia, Delfi e Dodona, NIO 9. Alla bibliografia si può aggiungere: G. Tomassi, Le parodie di decreti nei Dialoghi lucianei. Una rassegna, Athenaeum 90 (2011), 525-548.
[3] Si sfiora qui una questione centrale della storiografia antica che non viene tuttavia discussa, si confronti almeno il classico J. Marincola: Authority and Tradition in Ancient Historiography, Cambridge 1997.
[4] Per alcune considerazioni sulla connettività in prospettiva diacronica, cfr. F. Battistoni: I prosseni e la prossenia: contatti e paradiplomazia nel mediterraneo greco. In: M. Dana / M. Haake (eds.): People of Knowledge on the Move. Networks, Connectivity, and Cultural Mobility in the Ancient Mediterranean World from the Early Archaic Period to Late Antiquity, Stuttgart (forthcoming) con bibliografia precedente.
[5] Cfr. ad esempio un trattato di età moderna come A. De Wicquefort, L'ambassadeur et ses fonctions, La Haie 1724.
Filippo Battistoni