Rezension über:

Steven Vanderputten: Monastic Reform as Process. Realities and Representations in Medieval Flanders, 900 - 1100 , Ithaca / London: Cornell University Press 2013, XIII + 250 S., 8 s/w- Abb., 2 Karten, ISBN 978-0-8014-5171-3, GBP 36,50
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Rezension von:
Gianmarco Cossandi
Dipartimento di Scienze Storiche, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
Redaktionelle Betreuung:
Ralf Lützelschwab
Empfohlene Zitierweise:
Gianmarco Cossandi: Rezension von: Steven Vanderputten: Monastic Reform as Process. Realities and Representations in Medieval Flanders, 900 - 1100 , Ithaca / London: Cornell University Press 2013, in: sehepunkte 14 (2014), Nr. 6 [15.06.2014], URL: https://www.sehepunkte.de
/2014/06/23964.html


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Steven Vanderputten: Monastic Reform as Process

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Il nuovo lavoro di Stephen Vanderputten ha l'indubbio merito di offrire un differente approccio al tema della riforma monastica dei secoli X e XI, nell'intento dichiarato di superare le precedenti interpretazioni degli storici, spesso troppo condizionate dallo studio delle personalità più importanti e dal ruolo dei grandi monasteri protagonisti.

Pare in effetti ormai limitata e limitante la ricostruzione offerta, tra gli altri, da Ernst Sackur o Kassius Hallinger, imperniata su un modello dicotomico che aveva come punti di riferimento i grandi centri di Cluny e Gorze. Evidenziandone allora i limiti, Vanderputten, insieme a qualche altro storico, propone di superare il modello Gorze-Cluny - nonostante lo stesso abbia esercitato una certa influenza su parte della storiografia -, al fine di meglio descrivere le peculiarità e i diversi tratti locali della riforma, nonché le due grandi fasi costituite dal X e XI-XII secolo, al termine delle quali i movimenti di riforma, nel loro insieme, contribuirono a trasformare la Chiesa.

Il volume, nella fattispecie, prende in esame sette monasteri delle Fiandre (Saint-Bertin, Bergues-Saint-Winnoc, Marchienries, Saint-Amand, Saint-Bavo, Saint-Peter, e Saint-Vaast), tra X e XII secolo, fornendo un'analisi piuttosto completa delle interconnessioni tra storia monastica e politica della loro regione - la Lotaringia - e le possibili ricadute sul processo di riforma. È chiaro, in questo approccio, l'intento di guardare alle riforme istituzionali non come atti estemporanei, bensì come processi su cui possono avere influito diversi fattori. Vanderputten analizza quindi come la storiografia ha descritto le prime riforme del X e XI secolo e il grado di comprensione delle stesse, con particolare attenzione alla situazione degli anzidetti monasteri delle Fiandre, nonché come le tradizionali spiegazioni non riescano a rendere appieno l'idea della complessità dei processi di riforma collegati alle realtà sociali, economiche e culturali dei singoli monasteri; analizza altresì le figure più carismatiche dei riformatori del secolo XI, talvolta poco studiate se non del tutto dimenticate, che aprirono la via alle riforme del XII secolo, seguendo tre principali linee argomentative: la riforma fu un processo piuttosto lungo che coinvolse differenti generazioni di riformatori; le iniziative degli abati riformisti furono rese possibili proprio perché inserite in un processo e non estemporanee; le riforme dei primi anni dell'XI secolo rappresentarono una sintesi o perlomeno un confronto tra gli obiettivi dei riformatori e i contesti economici, sociali e culturali dei monasteri.

Verso la fine dell'XI secolo, diverse comunità monastiche delle Fiandre erano infatti inserite all'interno di un sistema di rapporti laici ed ecclesiastici molto più complesso di quello dei decenni precedenti; un sistema che riflette talvolta le rivalità politiche dell'epoca e la situazione interna dei monasteri stessi, creando quelle tensioni che furono alla base della successiva "ondata" di riforme.

Vanderputten sposta quindi l'attenzione al di là dei modelli unitari per dimostrare che le idee e le pratiche della riforma furono in realtà molteplici e flessibili, a seconda dei contesti ambientali e culturali. Anzi, la chiave del successo dei riformatori fu la loro capacità di adattare le azioni ai diversi contesti e alle tradizioni specifiche che avevano determinato l'esistenza delle comunità religiose, senza comunque compromettere gli ideali dei loro predecessori.

Piuttosto interessanti risultano poi esempi come quello di Simon, cronista di Saint-Bertin, che propose un uso legittimante della memoria, presentando un passato a tratti inventato così da rendere accettabile l'osservanza della riforma, e i racconti agiografici dei patroni dei monasteri riformati, piuttosto diffusi negli ambienti riformisti. Si tratta di connessioni che, in un certo senso, rivelano come gli abati promossero una sorta di solidarietà tra le istituzioni riformate, che si tradusse anche nella creazione di adeguate raccolte di libri e nella costruzione di reti culturali utilizzate per favorire il trasferimento di saperi e competenze a sostegno di tale processo.

Insomma, secondo Vanderputten, la riforma è un movimento complesso e corale, frutto delle convergenze degli obiettivi di abati, vescovi e governanti locali. Per i primi si trattava di disciplinare la vita dei monaci, ristabilire la leadership abbaziale e riorganizzare le presenze di laici attorno alla fondazione religiosa, senza ingerenze nella vita interna, per i secondi di rinsaldare i legami tra monasteri e abati e i rapporti utili all'esercizio del proprio episcopato, per gli ultimi di stabilire o ristabilire le reti locali (relazionali, istituzionali ed economiche) con monaci e monasteri. Ciononostante, qualsiasi fossero gli obiettivi di coloro che avviarono le riforme, per le diverse implicazioni, si può dire che ogni monastero abbia fatto storia a sé, ma anche che all'interno del medesimo monastero, le riforme stesse riflettono diversi obiettivi, diverse condotte, e - cosa più importante - vennero attuate in un contesto istituzionale e sociale differente. Ragion per cui risulta poco significativo andare alla ricerca degli elementi comuni nel tentativo di individuare un processo ideale di riforma. Si tratta di osservazioni che, nell'insieme, portano a mettere in discussione l'importanza della centralità della riforma nella storia monastica dei secoli X e XI, così come l'impatto delle riforme sullo sviluppo delle singole istituzioni monastiche; non solo, dimostrano, ancora una volta, come il percorso delle riforme sia stato un processo lento e cumulativo che può essere valutato correttamente solo guardando al piano delle continuità o discontinuità istituzionali e dei processi graduali di cambiamento.

Un volume intenso, quello di Vanderputten, di ampio respiro e ben argomentato (seppure in alcuni passaggi i rapporti di causa-effetto non appaiano immediati o troppo convincenti), frutto di approfondite ricerche utilizzando fonti archivistiche e storiografiche, capace di tratteggiare e approfondire i diversi aspetti del processo (o meglio, dei processi) di riforma monastica. Il volume è un eccellente studio sulla riforma nel contesto territoriale delle Fiandre medievali, pienamente adeguato all'obiettivo prefissato, e rappresenta un significativo passo avanti per l'approccio metodologico, nonché utile a creare le premesse per aprire nuovi spiragli a una migliore comprensione degli accadimenti di quegli anni cruciali per la storia della Chiesa tra XI e XII secolo.

Gianmarco Cossandi