Bruno Bleckmann / Timo Stickler (Hgg.): Griechische Profanhistoriker des fünften nachchristlichen Jahrhunderts (= Historia. Einzelschriften; Bd. 228), Stuttgart: Franz Steiner Verlag 2014, 228 S., ISBN 978-3-515-10641-2, EUR 56,00
Inhaltsverzeichnis dieses Buches
Buch im KVK suchen
Bitte geben Sie beim Zitieren dieser Rezension die exakte URL und das Datum Ihres Besuchs dieser Online-Adresse an.
Daniel R. Schwartz: Between Jewish Posen and Scholarly Berlin. The Life and Letters of Philipp Jaffé, Berlin / Boston: De Gruyter Oldenbourg 2017
Volker Grieb / Clemens Koehn (Hgg.): Polybios und seine Historien, Stuttgart: Franz Steiner Verlag 2013
Peter Herde / Benjamin Z. Kedar: Karl Bosl im "Dritten Reich", Berlin / Boston: De Gruyter Oldenbourg 2015
Barbara Schneider: Erich Maschke. Im Beziehungsgeflecht von Politik und Geschichtswissenschaft, Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht 2015
Johannes von Müller: "Einen Spiegel hast gefunden, der in allem Dich reflectirt". Briefe an Graf Louis Batthyány Szent-Iványi 1802-1803. Herausgegeben von André Weibel, Göttingen: Wallstein 2014
Bruno Bleckmann: Die letzte Generation der griechischen Geschichtsschreiber. Studien zur Historiographie im ausgehenden 6. Jahrhundert, Stuttgart: Franz Steiner Verlag 2021
Bruno Bleckmann (Hg.): Herodot und die Epoche der Perserkriege. Realitäten und Fiktionen. Kolloquium zum 80. Geburtstag von Dietmar Kienast, Köln / Weimar / Wien: Böhlau 2007
Bruno Bleckmann: Die Germanen. Von Ariovist bis zu den Wikingern, München: C.H.Beck 2009
Come emerge dal confronto tra edizioni critiche di una stessa opera spesso molto divergenti tra loro, la pubblicazione di testi storiografici frammentari giuntici per tradizione indiretta impone specifiche questioni di metodo, riguardanti soprattutto la natura dei documenti disponibili (un escerto, per es., è da considerarsi un frammento o un testimone?), l'esatta delimitazione della porzione di testo da considerare, il grado di rielaborazione subìto dal materiale originario nel processo di trasmissione, ed infine l'eventuale attribuzione allo scritto perduto di brani adespoti. Non stupisce dunque che proprio intorno a questi temi ruoti gran parte della presente raccolta, dove sono riunite alcune relazioni di un convegno svoltosi nel 2010 nell'ambito del progetto dell'Università di Düsseldorf Kleine und Fragmentarische Historiker der Spätantike.
La preparazione delle nuove edizioni critiche delle Storie di Eunapio di Sardi, Olimpiodoro di Tebe, Prisco di Panion, Malco di Filadelfia e Candido Isaurico, a più di trent'anni di distanza dal pionieristico lavoro di Blockley, [1] ha infatti chiamato a riflettere sulle nuove sfide della filologia odierna, avviando una discussione che già appare serrata tra gli stessi contributori del volume e che non mancherà di avere ampie ripercussioni presso la critica specialistica. Paschoud e Baldini si confrontano sulla possibile ricostruzione delle due ʾEκδόσεις dell'opera storica di Eunapio, riproponendo in realtà i termini di un dibattito ormai annoso senza l'apporto di nuove prospettive. [2] Le divergenze riguardano soprattutto la prima redazione dell'opera di Eunapio: mentre per Baldini essa terminava con il disastro di Adrianopoli, per Paschoud comprendeva anche il regno di Teodosio I; vengono poi identificati diversamente anche i 53 anni durante i quali secondo Zosimo (cf. I 1, 1 e 57, 1), sulla falsariga di Eunapio, l'impero sarebbe caduto: essi andrebbero dal 326 al 378 per Baldini, e dal 363 al 410 per Paschoud. Si tratta di questioni che naturalmente condizionano pesantemente l'interpretazione dell'opera, cui peraltro è dedicato anche il contributo di Hartmann, dove si tenta di cogliere il pensiero storico di Eunapio - per Hartmann solo in parte coincidente con quello di Zosimo, al quale egli è disposto a concedere maggiore autonomia di giudizio di quanto normalmente ritenuto - dalla lettura delle Vite dei Sofisti: rispetto al pessimismo radicale di Zosimo, la visione storica eunapiana sarebbe mitigata da una più salda certezza nell'intervento della Πρόνοια sulle vicende umane.
Brandt e Meier aprono invece prospettive diverse sull'opera di Candido, in una dialettica feconda e ricca di spunti. Con approccio minimalista, Brandt considera autentici i soli passi che riportino il nome dell'autore, respingendo dunque l'attribuzione allo storico di tutti quei frammenti - tratti da Giovanni Antiocheno e da alcuni lemmi della Suda - per lo più relativi alla dinastia isaurica e tradizionalmente ascrittigli (e per i quali Brandt non esclude una possibile derivazione da Malco): [3] la presunta "prospettiva isaurica" dell'opera, nonostante l'origine dell'autore, rappresenterebbe più un moderno mito storiografico che una fondata ipotesi. Di tutt'altro avviso Meier, che riprendendo l'impostazione tradizionale sull'estensione del corpus non solo rivaluta l'importanza dell'identità isaurica nella Weltanschauung di Candido (particolarmente rilevante, in proposito, il frammento sulla discendenza degli Isauri da Esaù), ma persuasivamente riconduce la sua elaborazione storiografica al clima culturale della prima età di Anastasio (e più precisamente agli anni della guerra isaurica: 491-498), piuttosto che a quella di Zenone. Recependo i risultati della più moderna Ethnogeneseforschung, Meier considera l'opera di Candido tappa decisiva nel lento processo di costruzione di un'identità etnica da parte degli Isauri, alla cui stirpe in seguito si sarebbero anche falsamente ascritti i famigerati imperatori Leone III e Costantino V: da qui peraltro il duro giudizio di Fozio sullo storico di V secolo, colpevole di appartenere alla stessa schiatta dei primi sovrani iconoclasti. Lo scritto di Candido rappresenterebbe così, per Meier, il primo, maturo, tentativo a noi noto di (ri)scrittura del passato ad opera dell'ἔθνος isaurico, che lungi dal presentare un respiro locale o puramente etnografico ambiva invece ad assumere la dignità della grande storia.
Tali riflessioni lasciano emergere in filigrana anche l'altra domanda posta dal volume, e cioè se, ed eventualmente in quale misura, questi autori possano essere realmente definiti "classicheggianti". Dai frustuli superstiti è spesso difficile valutare il peso della tradizione nella loro elaborazione narrativa, su cui peraltro inevitabilmente si innestano anche i nuovi motivi cristiani; esemplare è il case study di Olimpiodoro, su cui grava la celebre definizione - riportata da Fozio e probabilmente risalente all'autore stesso - dell'opera come ὕλη συγγραφῆς ('materiali per una storia', piuttosto che 'storia' stricto sensu). La fine analisi di Stickler dimostra tuttavia come lo scritto fosse concepito come una ἱστορία vera e propria, sebbene lontana dal modello stilistico tucidideo; ed in tal senso utile all'intelligenza dell'opera è anche il confronto, operato da Stickler, con la ὕλη ἱστορίας di Niceforo Briennio. Particolarmente interessante appare poi la proposta dello studioso di non considerare la narrazione olimpiodorea confinata esclusivamente all'Occidente: i frammenti dedicati all'Egitto e alla Tracia, per es., dimostrerebbero una significativa attenzione anche per la pars Orientis (la cui storia si immagina comunque trattata più sinteticamente), invitando a ripensare il problema della possibile struttura dell'opera e dei suoi contenuti. Mutatis mutandis, una simile aspirazione universalistica presenta la cronaca di Idazio, studiata da Börm, con la sua marcata attenzione anche alle vicende di Costantinopoli: lo studioso dimostra come in pieno V secolo il cronografo percepisse ancora una provincia periferica come la Gallaecia parte integrante dell'unità imperiale. Alla visione storiografica di Malco è invece dedicato il contributo di Wiemer, che attraverso un'attenta lettura dei frammenti relativi ai negoziati tra Genserico e i Romani (di cui Wiemer propone una datazione all'autunno 476) e alle ambascerie inviate a Zenone rispettivamente da Unerico e dal senato di Roma (cf. T1-2; F3, 10, 13 Müller) tende a ridimensionare l'importanza dell'opera di Malco per la ricostruzione di quegli eventi: nonostante una forte impronta classicheggiante (evidente per es. nella sottovalutazione dell'elemento religioso come strumento di analisi storica o nell'uso dei discorsi antilogici come espediente narrativo), a suo dire l'esposizione apparirebbe tendenziosa e priva di spessore, impedendoci una piena comprensione della storia del periodo.
Minor spazio è invece dedicato a problemi di Quellenforschung, affrontati solo tangenzialmente da Baldini (partic. pp. 24-27 [4]) e Paschoud (pp. 31-32) per Eunapio e in maniera più dettagliata esclusivamente per Prisco da Brodka, che attraverso un confronto con le tradizioni parallele (in primis Teofane) tenta di ricostruire il racconto dello storico di Panion dalla narrazione di Procopio. A completamento del volume, e a dispetto del suo stesso titolo, il contributo di Blaudeau è invece dedicato alla storiografia ecclesiastica e si concentra prevalentemente sulla figura di Esichio di Gerusalemme: concepita probabilmente nel clima di aperto contrasto con Antiochia che preparò il concilio di Calcedonia, la sua storia era tesa soprattutto ad esaltare il ruolo del patriarcato ierosolimitano ed ebbe notevoli ripercussioni sul successivo dibattito religioso, soprattutto durante lo scisma dei Tre Capitoli.
Pur da questi brevi cenni appare evidente il grande interesse del volume, che offre la possibilità di approfondire la conoscenza di autori di fondamentale importanza per la comprensione dei turbolenti e decisivi decenni del V secolo.
Note:
[1] R.C. Blockley: The Fragmentary Classicising Historians of the Later Roman Empire. Eunapius, Olympiodorus, Priscus and Malchus, I-II, Liverpool 1981-1983.
[2] I precedenti studi sull'argomento di entrambi gli studiosi sono ben noti: basti qui ricordare, per una sintesi, A. Baldini: Ricerche sulla Storia di Eunapio di Sardi, Bologna 1984 e F. Paschoud: Eunape, Olympiodore, Zosime. Scripta minora, Bari 2006.
[3] Cf. U. Roberto: Sulla tradizione storiografica di Candido Isaurico, in "Mediterraneo Antico" 3, 2000, 685-727 (con precedente bibliografia); W.T. Treadgold: The Early Byzantine Historians, New York 2007, 105-106.
[4] I tempi imposti dalle esigenze di pubblicazione non hanno consentito allo studioso di discutere le provocatorie posizioni di A. Cameron: The Last Pagans of Rome, Oxford 2011, partic. 627-690, sugli Annales di Virio Nicomaco Flaviano senior (opera di cui l'Autore nega l'esistenza), che per l'ampiezza dei problemi sollevati meriterebbero una trattazione autonoma.
Laura Mecella