Nicole Bériou / Jean-Patrice Boudet / Irène Rosier-Catach: Le pouvoir des mots au Moyen Âge. Études réunies (= Bibliothèque d'Histoire Culturelle Du Moyen Âge; 13), Turnhout: Brepols 2014, 624 S., 16 Farb-, 15 s/w-Abb., ISBN 978-2-503-55141-8, EUR 95,00
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Le parole, pensate dette rappresentate, sono parte integrante di pressoché tutte le attività più propriamente umane; sul linguaggio e le sue consuetudini si fonda la socialità dell'uomo e il suo vivere comune. In un certo senso, ogni parola è di per sé efficace, sia pure in modi e modulazioni differenti, nel momento stesso in cui viene pronunciata, modificando con il suo solo apparire, con il solo essere pronunciata, lo stato precedente, che quella parola non conosceva. D'altra parte, per un corretto approccio alla tradizione del pensiero medievale, si deve ovviamente e imprescindibilmente considerare che la tradizione biblica ed evangelica nella parola si radicano, così caratterizzandosi dalla creazione nella Genesi - con la reiterazione dei verbi che scandiscono il formarsi del mondo - fino ad arrivare al prologo giovanneo e al Verbo che era in principio, che era presso Dio e che era Dio.
L'intento del volume che qui si presenta, cioè il trattare nel modo più esaustivo possibile del potere e dell'efficacia delle parole, è dunque assai ambizioso, sia pure in un ambito cronologico (per così dire) limitato al Medio Evo. I tre curatori non si sono infatti limitati a invitare a un confronto comune i migliori specialisti della storia e del pensiero medievale, ma hanno cercato di dare conto delle diverse prospettive possibili, dall'antropologia, alla storia delle idee filosofiche o teologiche, alle arti iconografiche, e hanno cercato di evidenziare alcune questioni comuni che attraversano in modo trasversale i diversi campi intellettuali, in modo da rendere visibili analogie ed eventuali contrasti: in questa ottica si sono definiti gli elementi su cui si fonda l'efficacia e il potere della parola (la parola in sé, il locutore e l'allocutario - il testo di J. L. Austin, How to Do Things with Words è spesso sotteso - i rituali, i segni) e di indagare sia nella letteratura normativa, sia nelle riflessioni filosofiche del tempo.
I domini intellettuali presi in considerazione, ognuno con l'approccio disciplinare che gli è particolare e proprio, sono numerosi e vasti: le sezioni prendono in considerazione le arti del linguaggio, la letteratura e le immagini, i discorsi normativi nell'ambito del diritto e della teologia morale, i discorsi pubblici - dalla concione politica in ambito comunale alla predicazione e alla profezia -, le maledizioni e le benedizioni, l'ambito magico e medico tra teoria e pratica. Il risultato è impressionante per il materiale raccolto e per gli stimoli che vengono forniti per l'approfondimento di questioni nodali per la comprensione della storia delle idee, non solo medievale. D'altra parte gli studiosi che prendono parte a quest'opera collettiva sono, ognuno nel suo campo e nella sua impostazione, tra i maggiori specialisti sulla cultura medievale.
Il testo è dunque interessantissimo e vario, proponendo riflessioni che vanno (per limitarci a qualche esempio) dall'uso della nozione di virtus verborum dal XII al primo XIV s. (lo studio di Costantino Marmo) alla memotecnica (Lucie Doležalová e Gábor Kiss Farkas), all'efficacia del voto devozionale (Alain Boureau), all'eloquenza politica dei comuni italiani del XIII s. (Enrico Artifoni), alla predicazione tra docere e flectere (Carla Casagrande), a Guglielmo d'Alvernia (Franco Morenzoni), alla parola profetica (Sylvain Piron), agli esorcismi nelle opere dottrinali tra il VI e il XIII s. (Florence Chave-Mahir), all'efficacia della maledizione nella teologia medievale (Silvana Vecchio), alla potestas nocendi delle parole, anche in testi visionari (Giacomo Gambale), alla magia rituale (Julien Véronèse), al potere degli incantesimi secondo la medicina del XIII-XV s. (Aurelien Robert).
Nonostante il rischio di apparire sconnessi in un contesto tanto vasto, gli studi acquistano reciprocamente un proporzionale valore aggiunto, che viene dato appunto dal confronto di approcci disciplinari anche lontani tra loro. Gran parte del merito è senza dubbio di Irène Rozier-Catach, che introduce i lavori sottolineando la base comune degli studi - il retroterra cristiano - pur rifratto nella varietà di fonti e di discorsi, e che con uno studio conclusivo lega i contributi in un unico coerente quadro. In quest'ultima parte (Regard croisés sur le pouvoir des mots au Moyen Âge) viene per così dire disegnata una sorta di griglia con le coordinate di studio: la terminologia, la tipologia degli atti di parola, le cause - prime e seconde, naturali, sovrannaturali, demoniache, artificiali -, i supporti, gli attori - il locutore, la sua identità e le sue qualità; le disposizioni mentali; le sue intenzioni; ciò che intende e crede l'allocutario; le istituzioni, le convenzioni, l'uso pratico - le condizioni e le circostanze dell'enunciazione. Nelle ultimissime pagine si evidenziano le difficoltà nel confronto tra il Medioevo e le teorizzazioni contemporanee sul linguaggio e nelle righe finali si porta in questo senso ad esempio l'applicazione della distinzione tra 'illocutorio' e 'perlocutorio': 'Nel sistema di credenze medievale, l'effettuare un atto di discorso rituale o normativo indica e implica l'accettazione, esplicita o tacita, delle regole che lo reggono e delle conseguenze che impone. La realizzazione di un atto illocutorio ha così l'effetto perlocutorio di confermare e riaffermare la convenzione nell'ambito dei protagonisti e della comunità e di assicurare la coesione di quest'ultima, ragion per cui ogni infrazione può sembrare una minaccia all'ordine sociale'.
Notevolissima e non banale è la raccolta di 16 tavole che illustra degnamente il testo.
Giovanni Paolo Maggioni