Philippa Turner / Jane Hawkes (eds.): The Rood in Medieval Britain and Ireland, c.800-c.1500 (= Boydell Studies in Medieval Art and Architecture), Woodbridge / Rochester, NY: Boydell & Brewer 2020, XVI + 224 S., 62 Abb.
, ISBN 978-1-78327-552-6, GBP 60,00
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Sulla croce, il suo significato, le sue diverse funzioni e manifestazioni materiali esiste una bibliografia sterminata, ma, al contempo, gli studiosi di iconografia si trovano subito in imbarazzo quando si tratta di indicare un'opera che offra un inquadramento generale. È sintomatico che a imprese del genere si siano dedicati soprattutto studiosi di teologia che pur si distinguono per un forte interesse verso le immagini, come Robin Margaret Jensen o Richard Viladeseau. [1] Gli storici dell'arte hanno preferito limitarsi ad approfondire aspetti più specifici, forse perché spaventati dall'irriducibilità del tema a una pura analisi iconografica o materiale. In effetti, la croce è molto di più - e per certi versi molto di meno - rispetto a un'immagine: può essere un gesto, una postura, un'attitudine del corpo, un segno, un simbolo, un ornamento; può essere realizzata in forme estremamente complesse e monumentali oppure semplicemente evocata con mezzi rudimentali; la sua materialità è tra le più variabili e può essere, ad esempio, graffita su un muro, forgiata in ferro ed esibita sulla cima di un campanile, ricamata su un tessuto e indossata a scopo apotropaico o ancora scolpita in pietra ed esibita in un luogo pubblico. Nell'arredo degli altari viene a svolgere, dal tardo Medioevo in poi, una funzione imprescindibile, strettamente legata alla liturgia. Può dare forma a un reliquiario e ospitare materia sacra, in particolare frammenti del legno dello strumento principale della Passione. Compare in tutte le comunità cristiane ma, a seconda delle tradizioni rituali e dottrinali, il suo aspetto oscilla tra l'essenzialità del segno - che tuttavia evoca, nella sua forma stessa, gli elementi fondamentali di un corpo umano - e l'efficacia iconica di un crocifisso, in cui l'enfasi è posta sull'effigie di Cristo, reso ora vivo ora morto e spesso accompagnato da altri simboli e figure.
Il volume che qui si presenta non ha certo pretese di esaustività, ma si distingue per la sua volontà di offrire sguardi multipli sulla presenza e importanza della croce nelle isole britanniche durante il Medioevo. La scelta è importante, perché affronta di petto una di quelle difficoltà e contraddizioni che da sempre imbarazzano gli studiosi. Non è infatti difficile rendersi conto di quanto cruciale fosse la venerazione per la croce in Inghilterra come in Irlanda sia anteriormente che posteriormente alla conquista normanna: basti ricordare come forse nessun'altra regione d'Europa abbia espresso tanto vividamente la centralità del signum crucis quanto l'ambito anglosassone col poema Il sogno della croce, redatto nel secolo X. Molti testi, da Beda fino agli inventari delle cattedrali gotiche, indicano fino a che punto sia gli spazi pubblici sia gli interni delle chiese e delle cattedrali fossero marcati dalla presenza di croci e crocifissi, spesso anche di dimensioni monumentali. Tuttavia, la nostra percezione attuale è fondamentalmente falsata dalle ingenti distruzioni che hanno avuto luogo in età moderna e qualsiasi analisi del "paesaggio stavrologico", per così dire, delle due isole necessita soprattutto di una ricostruzione per via testuale e archeologica, che i saggi qui raccolti hanno inteso avviare da molteplici e interessanti punti di vista.
Dopo il bilancio degli studi che Philippa Turner propone nell'introduzione (1-13), il saggio di Jane Hawkes ("Approaching the Cross: The Sculpted High Crosses of Anglo-Saxon England", 15-30) si pone il problema delle modalità e contesti di ricezione delle croci monumentali in pietra che venivano erette in grandi quantità negli spazi pubblici e naturali dell'Inghilterra altomedievale e, più in particolare, si interroga sul loro ruolo di supporti di elementi figurativi, spesso esibiti entro cornici rettangolari, vedendovi un richiamo all'autorevolezza sacrale delle icone e richiamando, in tal senso, alcune affermazioni iconofile di Beda circa la capacità delle immagini di suscitare il coinvolgimento emotivo dello spettatore e aiutarlo a superare le barriere spaziali e temporali tra la dimensione umana e la sfera divina.
Il contributo successivo di Kate Thomas ("The Mark of Christ in Wood, Grass and Field: Open-Air Roods in Old English Medical Remedies", 31-44) mette in luce un aspetto assai meno noto del modo in cui le croci erano utilizzate: ovvero il loro coinvolgimento nella confezione di rimedi medici e magici, così come sono documentati in una serie di ricette antico-inglesi ancora poco note. Segue il saggio di John Munns ("Twelfth-Century English Rood Visions: Some Iconographic Notes", 45-57), che si propone di sfatare il preconcetto circa il perfetto parallelismo tra visioni e immagini nel Medioevo: le descrizioni di esperienze estatiche da lui analizzate e risalenti al secolo XII, dove centrale è la funzione della corona di spine, mostrano chiaramente come, al contrario, la visione mistica tenda a caratterizzarsi come alternativa rispetto alle convenzioni iconografiche. Lo stesso periodo è al centro del contributo di Maggi M. Williams ("Crosses, Croziers and the Crucifixion: Twelfth-Century Crosses in Ireland", 59-79), dove si mostra come le tradizionali high crosses si arricchiscano di riferimenti sempre più chiari e numerosi all'autorità episcopale, in sintonia col clima di riforma ecclesiastica allora dominante. Al contempo è anche il potere regale, sotto Toirdelbach Ó Conchobair, a promuovere il culto della reliquia della Vera Croce ottenuta da papa Callisto II intorno al 1123 attraverso processioni solenni che sottolineavano l'associazione tra il sovrano e il sacro cimelio e ne iscrivevano il potere nel territorio.
L'escursione in Galizia offerta da Sara Carreño ("From Religious Artifacts to Symbols of Identity: The Role of Stone Crosses in Galician National Discourse", 81-102) è tutt'altro che incidentale, giacché si focalizza su un tipo di oggetto - il cruceiro - che la storiografia nazionalista ha a lungo associato con le croci monumentali in pietra dell'Inghilterra e dell'Irlanda: le intenzioni politico-culturali che hanno determinato questa lettura vengono qui approfonditamente analizzate. Si passa quindi, col saggio di Philippa Turner ("The Rood in the Late Medieval English Cathedral: The Black Rood of Scotland Reassessed", 103-123), all'analisi delle complesse, e spesso elusive funzioni svolte dalla croce nell'arredo ecclesiastico inglese del tardo Medioevo: la studiosa passa in rassegna le indicazioni fornite dalle fonti circa il coinvolgimento del Black Rood of Scotland, associata con la sconfitta degli Scozzesi a Neville nel 1346 e con il culto di san Cuthbert, nelle performance rituali e la sua collocazione nello spazio della cattedrale di Durham. Quello che ne esce è una visione assai più articolata rispetto alla generale disposizione delle croci monumentali sul tramezzo o rood screen: le fonti sembrano indicare la duplicazione dell'oggetto allo scopo di assicurare la sua mobilità e coinvolgimento nella liturgia e la disposizione in uno spazio riservato, con elaborate strategie di mise-en-scène che permettevano la proclamazione del suo status di oggetto di culto collettivo.
Małgorzata Krasnodębska-D'Aughton ("The Cross of Death and the Tree of Life: Franciscan Ideologies in Late Medieval Ireland", 125-144) pone bene in luce come la proliferazione di decori vegetali nelle croci utilizzate dai Francescani d'Irlanda si leghi strettamente alla volontà di evocare un tema caro all'Ordine, ossia l'Albero della Vita. Con il saggio seguente di Lucy J. Wrapson ("Heralding the Rood: Colour Convention and Material Hierarchies on Late Medieval English Rood Screens", 145-159) si passa a un approccio più tecnico, con cui si mostra come la natura liminale dei tramezzi venisse enfatizzata attraverso un sapiente uso di colori preziosi. In generale questo testo, così come il successivo di Sarah Cassell ("Reframing the Rood: Fifteenth-Century Angel Roofs and the Rood in East Anglia", 161-184), pongono l'accento sul ruolo fondamentale svolto dai supporti e dalle cornici monumentali nell'orientare la percezione delle croci monumentali: nelle chiese dell'East Anglia proliferano le statue lignee che raffigurano angeli che, con il loro atto di suonare la tromba o di mostrare gli strumenti della Passione, introducono una chiara connotazione escatologica.
Globalmente, i singoli capitoli illuminano aspetti spesso poco noti della presenza e delle forme di fruizione della croce nelle società medievali. Protagonista indiscussa è l'esperienza del sacro - e in maniera subordinata dell'autorità dell'istituzione ecclesiastica, del potere regale e delle identità collettive - quale viene veicolata da un segno onnipresente nello spazio naturale e costruito, che è al contempo anche un oggetto materiale, non di rado investito di qualità eccezionali, e un'immagine straordinariamente efficace, capace di suscitare l'empatia degli osservatori.
Nota:
[1] Richard Viladeseau: The Beauty of the Cross. The Passion of Christ in Theology and the Arts. From the Catacombs to the Eve of the Renaissance, New York 2005; Idem: The Triumph of the Cross. The Passion of Christ in Theology and the Arts. From the Renaissance to the Counter-Reformation, New York 2008; Idem: The Pathos of the Cross. The Passion of Christ in Theology and the Arts. The Baroque Era, New York 2014; Robin Margaret Jensen: The Cross: History, Art, and Controversy, Cambridge 2017.
Michele Bacci